L’occasione per aggiungere La Reggitora alla già nutrita bibliografia su Leonilde Iotti (10 aprile 1920, Reggio Emilia – 4 dicembre 1999, Roma) è il centenario della sua nascita. A firma del regista e sceneggiatore sardo Peter Marcias è il documentario di 80 minuti Nilde Iotti. Il tempo delle donne, presentato all’ultima Mostra cinematografica di Venezia, di cui il volumetto edito da Solferino inanella le conversazioni raccolte “restituendo (…) il senso vivo del passaggio di tempo di Nilde Iotti su questa terra e della preziosa eredità che ha lasciato per il nostro futuro”. Amen! Retorica fortunatamente stemperata da un titolo giocoso. Ma tutto si spiega: fu un incontenibile Federico Fellini a coniare per Nilde – eletta presidente della Camera nel 1979 – “Reggitora”, “ovvero quella donna che sostiene, dirige, che ha l’autorità e il peso del comando” chiosa l’ouverture del libro, citando il regista romagnolo.
Così, dopo l’esergo, ecco partire la sinfonia di voci, gli “incontri straordinari” dell’autore volti a imbastire la Storia di Nilde (come titolava una fiction tv del 2019, protagonista Anna Foglietta). Un io la conoscevo bene, qua e là venato di un certo didattismo (che le jeunes filles imparino!), come spesso impongono cerimoniali e anniversari. Da Paola Cortellesi a Marisa Rodano, da Giorgio Napolitano a Luciana Castellina, passando per Eletta Bertani, Cecilia Mangini, Sergio Mattarella, Luisa Lama: storici, politici e alti ranghi delle istituzioni si alternano a compagne, amiche di partito e deputate del Pci. La lista è lunga. Gli aggettivi abbondano. “Amabile e forte, serena ma energica” (Giorgio Frasca Polara); “madre della nostra Repubblica (…) all’inizio fredda, autorevole ma sempre affettuosa e presente” (Livia Turco); “una persona di grande semplicità ma anche di grande riservatezza”, una donna dall’“eleganza quasi regale (…) la regina del Parlamento” Rosa Russo Jervolino dixit.
Un’icona. Un esempio, dunque. In vita e in politica. Che per Leonilde, rampolla di umile lignaggio (padre ferroviere e madre casalinga), già sono tutt’uno quando, all’indomani dell’8 settembre 1943, si vota alla lotta partigiana e all’impegno concreto per affermare i diritti delle donne: l’Udi (Unione donne italiane) nascerà, per volere della stessa Nilde, a Milano proprio quell’anno. La storia di Nilde parte ufficialmente da qui.
“Donne non si nasce, lo si diventa” avrebbe scritto Simone de Beauvoir ne Il secondo sesso (1946). Il passo successivo è la candidatura per il consiglio comunale reggiano e, dopo un unanime plebiscito, l’ingresso nell’Assemblea costituente e nella “Commissione dei 75”: la venticinquenne attivista del Pci (che mai ne prese la tessera) parteciperà alla stesura della nuova Carta Costituzionale. Un evento importante. Come l’incontro con l’allora segretario del partito comunista Palmiro Togliatti. Due vite, una svolta? Ebbene sì. Privo di immagini, La Reggitora non ci restituisce appieno l’austera avvenenza di Leonilde. Togliatti ha cinquantatré anni, è sposatissimo e affatto bello. Per l’Italia benpensante e bigotta la peccaminosa liaison è concepibile solo in quel di Hollywood. La Iotti e Togliatti, esteticamente mal assortiti, ricordano un po’ Katharine Hepburn e Spencer Tracy. L’amore è cieco (in entrambi i casi). Ma il partito vede. Il partito sa. Dopo l’attentato a Togliatti, nel 1948, l’intero Paese saprà. E Nilde, ben consapevole della misoginia di un partito pullulante di maschi Alpha e, pur accettando il confino al sesto piano di Botteghe Oscure, non resterà nell’ombra né di Palmiro né del partito. La libertà di milioni di donne passa attraverso le sue battaglie per il diritto al divorzio e all’aborto, pari opportunità e riforma del Diritto di famiglia, nelle sue parole “costruire una società più umana”. “L’orgoglio della mia vita” affermerà in seguito, quando giungerà ai vertici dello Stato, grazie all’intercessione di Enrico Berlinguer e Pietro Ingrao, tra i pochi nel Pci a credere nella forza e nel carisma della Iotti. Un carisma fatto di autorevolezza. E perché no? Di stile. Come non ricordare il suo arcigno chignon, ingentilito da due bande laterali a incorniciarle il volto con austeniana sobrietà? E la décolleté parlamentare? Fede e rigore, virtù e lungimiranza: quella scarpa era un monito, un simbolo, un manifesto! Se tale frivolo divagare vi sembra fuori luogo, a mia discolpa le parole di una ragazza del secolo scorso: “Ai tempi (…) persisteva un’immagine stereotipata delle donne comuniste: arrabbiate, brutte e malvestite”, rammenta Luciana Castellina, “Nilde invece aveva sempre avuto il coraggio di presentarsi come una donna normale, di vestirsi con accuratezza, di andare dal parrucchiere, con un portamento da signora di mezza età e non da suffragetta”. Femme engagée ma con classe. Con la medesima classe rifiuta la nomina di senatrice a vita, nel 1992 si dimette dal suo incarico di parlamentare, congedandosi con poche frasi e un umilissimo “Vi ringrazio per la cortesia”. È la fine di quella che Nilde non amava definire “carriera” bensì “progressione”. Meditate fanciulle, meditate…