Peter Flamm / La realtà non è come la vediamo

Peter Flamm, Io?, tr. di Margherita Bellardetti, nota di Manfred Posani Löwenstein, Adelphi, pp. 143, euro 18,00 stampa, euro 10,99 epub

L’esperienza fuori sesto della guerra, della Grande Guerra, appena conclusa e ancora promulgatrice di shock a tempo indeterminato, impossibili da gestire o soltanto interpretare. Non certo i protagonisti possono ritornare alle giornate ancora impregnate di gas e fumi velenosi, i pensieri si rifiutano di ricomporsi sopra i resti dei cadaveri sparsi nelle trincee e nei luoghi limitrofi, i pensieri non sanno più con chi hanno a che fare: se con fantasmi sospesi in arie angosciose d’infido sapore, o con corpi inanimati che consapevolmente o meno ambiscono di tornare alla luce – ma questa è una di quelle follie che nessun lettore vorrebbe affrontare in un libro, per quanto ingegnosamente costruito in modo da mescolarsi, in un groviglio di esorcismi e gesti magici, ai vivi e ai morti. Eppure.

Eppure torna, da un luogo in cui sembrava scomparso, questo Ich? dimenticato dal 1926, quando S. Fischer lo pubblicò. Torna da Adelphi in prima traduzione mondiale – Io? – il romanzo di Peter Flamm, pseudonimo di Erich Mosse, psichiatra e scrittore nato a Berlino nel 1891 e morto a New York nel 1963. Esordio in anni in cui rivolgimenti e nuovi enigmi comparivano alla luce di incomparabili e vasti studi nell’ambito della Fisica, e delle scienze umane. Einstein, Freud, Dirac mutano il mondo fin lì conosciuto, e Mosse non sarà del tutto estraneo alla bufera spaziotemporale e psichica messa su dalle menti migliori di quel periodo.

Chi parla? Un morto che vuole farsi capire sapendo che non possiamo capire – lui è disteso nella terra, cadavere, e silenzio ovunque dopo che la granata ha scavato il proprio cratere. La guerra non c’è più, il 1918 è qui e il morto si chiede – ci chiede – come può lui raccontare cosa vede ora: qualcosa si è ribaltato, il pensiero narrante (se così può dirsi) è uscito dalla trincea, e vede il morto giacere lì davanti. Un “signor dottore”, uno istruito a cui ora ha sottratto il passaporto e, con il cuore battente all’impazzata, si ritrova su un treno, nella prima classe di un rapido diretto a Berlino. Inebetito si chiede cosa sia successo… sogno, allucinazione… lui, Wilhelm Bettuch, umile fornaio che ora ha assunto le sembianze di Hans Stern, rispettabile chirurgo berlinese. Chi parla? Chi è che dice Io? Il protagonista trascina, noi lettori, in un vortice di fantasticheria in cui ci confondiamo un po’ tremanti un po’ increduli. Chiunque egli sia, il trasporto negli abissi “neri”, dal sapore di macelleria bellica e vertiginosi plot filmici degni di Hitchcock, mette a dura prova le nostre competenze sullo spazio e il tempo, già compromesse dai record negativi del nostro mondo disamorato. Come scrive Manfred Posani Löwenstein nell’imperdibile Nota, il “tempo e le distanze” dentro il romanzo si dilatano e contraggono proprio come le nuove leggi della fisica dimostrarono ai primi del Novecento. La versione di Hans si trasforma in quella di Hans/Wilhelm, che è tutt’altra cosa rispetto agli originali. E da qui nasce la nostra vertigine dando forma, leggendo, a ciò che ci viene narrato.

Se il chirurgo (forse) si macchia di un delitto per cui viene trascinato in tribunale, il cane Nerone si accorge per primo che quello non è più il suo padrone, e si avventa fin da subito alle gambe dell’estraneo che “sembra” qualcuno che conosce e che invece è solo un impostore. Il ringhio, e talvolta l’uggiolio disperato, mostrano una verità disconosciuta, ignota agli umani di famiglia, alla bella Grete tizianesca, moglie incapace di raccapezzarsi di fronte all’ignoto. In fondo i morti nella trincea non sembrano più “assenti” di questi morituri dispersi dentro a specchi solidi e invalicabili: è una realtà figlia d’eresia, e non ne esiste altra. Se Io? fosse una novella di fantasmi saremmo più rassicurati, se fosse un racconto processuale andremmo a ricercarne gli anelli che non tengono, gli slittamenti delle versioni, le interpretazioni inconsistenti, o le prove schiaccianti. Ma nulla di tutto questo: bastano le prime tre pagine a trascinare nel mondo di un protagonista fatto di due entità, morte e vive allo stesso tempo. Qualcosa che non si potrebbe raccontare, eppure. Eppure Flamm l’ha fatto. Dopo di che possiamo congedarci da quel che vediamo. Da quel che crediamo sia la realtà.

Flamm è stato una meteora, presto scomparsa dopo Ich?, i successivi romanzi e racconti non ripetono quanto successe con la pubblicazione di questo primo libro. Una volta e mai più.