La nostra memoria di studenti è comunemente segnata da ricordi di domande impertinenti da parte dei professori che con fare inquisitorio ci domandavano di collocare geograficamente città, autori e avvenimenti oggetto dell’interrogazione; seguivano spesso tentativi maldestri di sviare il quesito, improvvisi e colpevoli episodi di mutismo o clamorose e gustosissime figuracce. Cosa sarebbe accaduto se avessimo avuto a disposizione un volume avvincente come quello firmato da Martin Zimmermann dedicato ai luoghi più strani del mondo antico? Probabilmente l’encomiabile capacità divulgativa dello storico ci avrebbe incoraggiato a dedicare maggiore attenzione al fascino sprigionato da certi luoghi.
Docente di Storia antica presso l’Università di Monaco, l’autore confeziona un saggio corposo in cui traccia una mappatura dell’inconsueto, una cartografia della stranezza: con piglio appassionato, ma sempre autorevole, egli indaga le zone marginali, ne valorizza le sfumature e ne porta a galla l’invisibile. Non si tratta di un gioco erudito fine a se stesso o teso semplicemente a fare esperienza della meraviglia, ma del tentativo pregno di curiositas di avvicinarsi a comprendere meglio il mondo, quello antico e quello presente. Se oggi andiamo alla ricerca dei dettagli, dei particolari, dei luoghi meno turistici e frequentati, gli antichi amavano tramandare notizie sconvolgenti su paesaggi ai confini della terra conosciuta, popolati da mostri e creature fantastiche.
L’itinerario proposto da Zimmermann è incalzante e vastissimo; esso prende avvio agli inizi del mondo, segnando i punti centrali della terra (Eridu, la prima città dell’umanità; Hisarlik, una piana di rovine identificate con Troia; l’ombelico del mondo, Delfi; Roma, la cui fondazione coincide con lo scavo di una fossa); il percorso prosegue con le città fantasma, i luoghi dei vincitori e quelli dell’amore (uno su tutti, la tomba di Cleopatra); vengono poi gli spazi che si collocano al di là del quotidiano, quelli della guerra, del mito e del divino, del sapere (il Serapeo di Alessandria, per esempio), dell’orrore e della morte, per arrivare ai confini del mondo.
Storie inverosimili e luoghi fittizi non smettono di catturare la nostra curiosità, sebbene un’illuministica sicurezza ci spinga a negare la loro esistenza; secondo Zimmermann questo accade perché non desideriamo perdere i racconti a essi collegati. Così il giardino pensile di Babilonia e l’isola leggendaria di Atlantide continueranno a esercitare su di noi la loro immaginifica fascinazione, e noi, per quanto razionalmente convinti della loro infondatezza, saremo sempre in qualche misura avvinti dal loro mistero.
Lo sguardo dell’autore, lungi dal rivolgersi in maniera miope esclusivamente verso l’antico, non rinuncia mai al confronto con il presente, anzi recupera aneddoti e fatti del contemporaneo per tenere vivo il legame tra i due mondi e suggerirci di non trascurare lo straordinario e l’assurdo che oggi ci circondano. La storia dei luoghi è a tutti gli effetti storia della cultura, e Zimmermann la porge ai nostri occhi sotto la lente dell’estraneo, dell’inedito, per esortarci a ripensarla, a osservarla da una prospettiva lontana dall’ordinario e sentire così l’impressionante vicinanza del classico, che è intramontabile persino quando dall’ultima rupe sull’Atlantico pare immergersi con un sibilo dentro la vastità dell’oceano.