Michele Masneri / Pensieri selvaggi a Los Angeles

Michele Masneri, Steve Jobs non abita più qui, Adelphi, pp. 256, euro 19,00 stampa, euro 9,99 epub

Chiediamoci se una specie di Day After digitale sia avvenuto (mentre noi, incoscienti, sprofondati negli schermi cinematografici a deliziarci degli accavallamenti, mirabilissimi d’altronde, di Sharon Stone e dei meno lodevoli modellini di cartone di Star Wars) qualche decennio fa. Chiediamoci quale modesto dopoguerra, infarcito come un hamburger del Midwest, ci abbia incappucciati belli gai e archiviati per le ricerche di alieni prossimi venturi. Al netto delle vittime e dei sopravvissuti, e dell’infausta morte di Alberto Arbasino, oggi possiamo dilettarci (ma nemmeno poi tanto) dentro la tristezza tropicale e le delizie lucidissime di Michele Masneri alle prese, una volta scavalcato Atlantico e gran parte degli States, con la massiccia isteria collettiva racchiusa nella Silicon Valley. Con sconfinamenti geografici e mentali di ogni genere. Qui in Europa (o forse soltanto in Italia?) non sappiamo mica come va il mondo post-digitale. Per nulla sugar free, viste le montagne di Mulini bianchi che tempestano le nostre dispense, come reagiamo alle avventure, in stile Werner Herzog con un pizzico di David Cronenberg, descritte e stilate dal nostro reporter? Lui, per molto tempo in pericolo di vita (non è un azzardo) davanti a ettolitri di birra calda e “startuppari” tossici? Poi, se da quelle parti soltanto nomini lo zucchero come minimo ti ritrovi rinchiuso a Guantámano.  Ancora, se i tuoi introiti si aggirano sui centomila dollari annui sei un pezzente. Se cerchi casa in affitto, per un Erasmus diciamo così “privato”, non ne bastano duemilacinquecento mensili. La casa è un’ossessione, ci sono startupper che vivono nei sottoscala di “villette fetide nei quartieri più estremi”. I latinos fanno le pulizie per cento dollari a botta, ma essendo uno status symbol la riduzione delle sudicerie casalinghe non è alla portata di tutti. Niente acqua, soltanto prodotti chimici, e dunque potremmo chiederci quanto a lungo si sopravvive alle intemperie disincrostanti. Perché l’italiano medio capisca, Masneri riflette sul barbiere medio californiano: il servizio non costa meno di duecento dollari ed è il tagliatore che stila la classifica dei clienti, non viceversa. Zuckerberg, per dire un nome, è odiato dai fricchettoni di San Francisco se posteggia i due suv della scorta di fronte al suo compound, a Mission (la zona più nobile), ma gli restano pur sempre centinaia di ettari alle Hawaii. Ma sia chiaro, per i sanfranciscani i “bellimbusti” della Silicon Valley non sono altro che coatti arricchiti.

Fra traslochi indimenticabili, Uber che sembrano fuoriusciti dagli smog di Blade Runner, blocchi di porte e cancelli neanche per sogno meccanizzati ma riempiti di sostanze digitali, app terrorizzanti, palestre e saune gigantesche dove la demografia post-AIDS appare dominata da sperimentazioni in stile parco giochi ma i test e certe pillole sono gratuiti e forse sono efficaci contro il COVID (ma chi se lo chiede?), fra eventi Pride antitrumpisti che brillano per l’assenza dei multimiliardari planetari ma dove spiccano i funzionari tecnologici LGBTQ, e dove i pochi miracolati da Coronavirus passano da Uber alla ristorazione smart, fra tutto questo e migliaia di altri progetti, Masneri naviga in un tripudio di luci suoni e colori, sempre sul punto di naufragare ma per fortuna svelto a spostarsi selvaggiamente in altri lidi. Saludos amigos, e via.

Leggendo il libro si svelano gli psicodrammi più strani – o per meglio dire generati da professionalità gettate nel tritatutto da un giorno all’altro – e inavvertiti qui da noi. Non ne siamo rassicurati. I pronipoti degli avi siciliani che bazzicano la baia hanno chiome cresciute al pari del patrimonio, e aspetti improbabili: forse non trovano la cipria giusta, ci viene suggerito, anche se prossimi a partire per Marte. All’autore potremmo chiedere se siano loro i veri Marziani sbarcati o precipitati a Roswell nel 1947. O quelli che hanno favorito la presidenza del tizio dai capelli color dell’Aperol (copyright Luca Bottura). Ma forse interessa di più il sessismo e l’incompetenza nelle stanze dell’amministrazione governativa (l’importazione nazionale, sul tema, ha forse funzionato?), e il mistero riguardante Steve Jobs. Dimora personale sciatta, ma a Cupertino l’anello extraterrestre in forma di astronave appare come una cattedrale pesante di marmi ciclopici. L’accesso allo Starship è difficoltoso più che per farsi ricevere dal Santo Padre, al confronto il mausoleo di Arcore sembra una costruzione di mattoncini.

Quanto è lontana Bolinas, per chi ricorda certe scorribande ferlinghettiane? Davanti all’Oceano gelido le Mercedes si trasformano in sculture d’avanguardia novecentesche, dove i conigli fanno la tana e uno dei fratelli Coen progetta il suo prossimo delirio filmico. Ma questa è poesia, e come la poesia è più virtuale di quanto si pensi. E forse si tratta di uno dei tanti set “americani”. Steve Jobs non abita più qui è un capolavoro post-arbasiniano, banalissimo affermarlo e letto ovunque su tabloid e quotidiani, e dunque fa un po’ paura, è capace di fiaccare le allucinazioni più sfrenate, va ben oltre l’attualità che tentiamo di verificare ogni giorno. Mentre dall’altra parte del mondo i Marziani hanno già sperimentato, da tempo, l’Oltremondo: niente di cui fidarsi, tutto è sempre sul punto di crollare su sé stesso, come un universo che implode. La macchina del tempo mostra un futuro mostruosamente trasformato. Però cerchiamo di stare calmi, nell’ultimo capitolo si descrive una risorsa last minute, forse un nuovo inizio: la moda di Palm Springs rinasce, con le sue architetture di modernità “mid-century”. Niente da fare, l’estetica hollywoodiana anni Trenta ritorna in auge indistruttibile. Il clima secco conserva, e qualche figlio invecchiato di antiche star vive ancora da quelle parti. Un sanatorio, poco da sorridere, e foto di Frank Sinatra ovunque. Masneri si aggira per camere che si chiamano Capri (pronuncia “Caprì”), anche quando nulla sembra avere fine il libro si conclude con l’immagine di una piscina avvolta da nebbia artificiale. In acqua galleggia una palla. “A terra, uno slippino dorato che brilla”. Semplicemente fantastico.