Avevo appena finito di leggere Il canto del profeta quando, durante una trasmissione radiofonica, ho sentito un’intervista a Donatella Di Cesare, che parlava del suo libro Democrazia e anarchia. Diceva che i regimi totalitari il più delle volte nascono come degenerazioni della democrazia, si originano da un sistema democratico che viene gradualmente corrotto e deformato fino a diventare il suo opposto. E la gradualità rende la trasformazione difficile da cogliere. Per cui è anche difficile reagire, fare fronte. È questa l’ambientazione del nuovo romanzo di Paul Lynch, che ha vinto il Booker Prize nel 2023. In tutti i romanzi vincitori del Booker la connessione con il tempo in cui viviamo è forte e determinante; qui il riferimento alle derive autoritarie in corso in diversi paesi europei è altrettanto deciso quanto inquietante.
Il romanzo di Lynch è leggermente distopico, ambientato in un tempo impreciso e in un luogo definito (Dublino) ma reso indefinito da quel tempo impreciso. Nel Canto del profeta Dublino è scivolata in un totalitarismo che non ha un’ideologia forte da strillare e propagandare ma che ha messo in atto tutti gli accorgimenti su cui vivono i regimi autocratici: fomenta la paura, fa sparire le persone, nasconde le tracce, distorce l’informazione, cambia le regole senza preavviso. La libertà e i diritti vengono sottratti ai cittadini in silenzio, senza proclami; semplicemente scompaiono come se non ci fossero mai stati.
A Dublino, la famiglia Stack è composta da Eilish, biologa, da Larry, insegnante e presidente del Sindacato degli insegnanti, e i loro quattro figli. Una famiglia come tante, una casetta col giardino in una via tranquilla, tanti impegni, progetti, prospettive. Una sera tardi gli agenti della polizia bussano alla porta cercando Larry che non è ancora tornato. Eilish è stupita e allarmata ma cerca di minimizzare. Anche Larry, quando torna, minimizza. Il giorno dopo ci sarà una manifestazione sindacale, Eilish vorrebbe che Larry non andasse, ma capisce che è importante, che fa parte del suo lavoro e anche della sua etica. La manifestazione si preannuncia rovente e sarà repressa con la violenza. Larry non torna più a casa. Scomparso. Desaparecido. Eilish non riuscirà più ad avere sue notizie, a rintracciarlo, a sapere se è vivo o morto. La scomparsa si sa lascia un senso di incertezza, un margine di speranza, una sospensione che logora e corrode, che non può essere calmata o placata. Che impedisce il sonno, il riposo. Mentre la vita quotidiana sembra continuare, i figli a scuola, il lavoro, la spesa, la cura del padre rimasto solo e che ha un po’ perso la testa, la sorella che vive in Canada e che vuole che la raggiungano.
Intanto il regime allarga il suo raggio d’azione, entra nella dimensione quotidiana che si altera e degrada costantemente. Nasce un movimento di ribelli, a cui il figlio maggiore degli Stack decide di partecipare. Ormai siamo alla guerra civile, anch’essa opaca e indefinita, e in un crescendo di angoscia il ragazzo scompare. Il lavoro è sempre più incerto, la spesa sempre più difficile, l’attraversamento della città per raggiungere il padre che sta perdendo la memoria è sempre più lungo e tortuoso. La qualità del cibo, dello spazio, dei rapporti si degrada. Ci si barrica in casa, ci si annoia, ci si dà sui nervi. La paura si insinua in ogni poro della pelle e tenerla a bada assorbe tutte le energie. Tutti vorrebbero solo e disperatamente tornare alla vita di prima, che era banale e noiosa e anche insopportabile ma sicura e tranquilla – e sì, davvero meravigliosa. Tutti sanno che quel che è stato non tornerà mai, e non si riesce a immaginare come quella nube velenosa e malefica che ha avvolto la città possa mai scomparire. Mentre quelle che continuano a scomparire sono le persone, i ragazzi. Scompare il secondo figlio di Eilish, in circostanze altrettanto incomprensibili del primo.
A questo punto resta solo la fuga. Che Eilish riesce a organizzare grazie all’aiuto della sorella. La fuga che li trasforma in migranti: sballottati su minibus puzzolenti, trattati con disprezzo, sottoposti a continue richieste di denaro, in preda a una costante incertezza. Arriveremo davvero a destinazione? Verremo fermati prima? Ci uccideranno? Così quando il mare finalmente compare alla vista, è come un miraggio, come un’apparizione. Il mare è la vita e dunque deve essere la salvezza. Anche se troppe storie ci hanno raccontato che il mare è stato la fine, invece che l’inizio di una nuova vita.
Certo è che in questa epopea così realistica, così vicina, così plausibile, da cui vorremmo allontanarci e che invece ci tiene attaccati alle pagine, la speranza di trovare una tregua se non una fine è sempre esile e difficile da trovare. Forse è quella pietà che nasce dal terrore, dalla vicinanza forzata, dalla condivisione del poco che resta e dalla protezione verso chi è più debole e non ce la fa. Forse è l’amore, che arma la lotta per la sopravvivenza e che chiarisce le priorità. Forse è la consapevolezza, il momento in cui capisci che devi scegliere da che parte stare, e che da quella parte starai costi quel che costi. Forse è la scrittura, le parole che ancora troviamo per raccontare la realtà e gli incubi. Le parole di Lynch, il modo di raccontare di Lynch, sono intensi e poetici. Sono ininterrotti come il flusso del pensiero, sono altalenanti e disarmonici, sono veri. Il canto del profeta è un libro che, mentre lo leggete, non vi farà stare bene. Ma vi lascerà un senso profondo di comprensione del mondo, una domanda di accortezza e di attenzione. Vi lascerà diversi da come eravate quando lo avete cominciato. E questo non si può dire di tutti i libri.