Paul Auster / Baumgartner, o il dolore della memoria

Paul Auster, Baumgartner, tr. di Cristiana Mennella, Einaudi, pp. 160, euro 17,50 stampa, euro 9,99 epub

Che dire, Paul Auster è sempre Paul Auster. Ci siamo preoccupati per lui quando abbiamo saputo della sua malattia, ci siamo preoccupati egoisticamente, chiedendoci come avremmo fatto, non tanto senza di lui ma senza quello che scrive. Poi arriva Baumgartner.  E nel breve spazio delle poche pagine, Auster riesce a mettere storie nelle storie, sottostorie di sottostorie, riesce a divagare, a cercare corridoi e aperture laterali, per farci perdere e poi ritrovare.

Seymour Baumgartner è un vecchio studioso e professore di Princeton. Ha perso la moglie, Anna, dieci anni fa. Da allora ne sente l’assenza costantemente, pur conducendo una vita normale, anche ricca e intensa dal punto di vista sentimentale. O forse sarebbe più giusto dire che di Anna sente la presenza, per quanto lei sia assente. Baumgartner ricorda tutto quello che hanno vissuto, condiviso, esplorato, sperimentato. Ricorda la vita quotidiana, le stanze dove lavoravano, i passi, il ticchettio della macchina da scrivere di Anna. Ricorda la bellezza, il piacere, l’amore. Li ricorda come se fossero ancora presenti, perché in realtà sono presenti. La nostra vita interiore non segue quasi mai l’itinerario di quella esteriore, il tempo interno non ha il passo di quello esterno. Quando una persona è diventata parte di noi, quando la nostra vita si è intrecciata con la sua, resta con noi per sempre. Il nostro corpo e la nostra mente ne sentono la mancanza nello stesso modo in cui la nostra anima ne percepisce la presenza e ne sente la compagnia, la vicinanza, il calore.

Baumgartner ha messo a posto tutte le carte della moglie, che era traduttrice e poetessa. Ha riletto le loro lettere, ha pubblicato le poesie, una selezione molto severa, sta pensando infatti di pubblicarne un secondo volume. E ora compare anche una studentessa, che vuole fare la tesi di dottorato sull’opera di Anna.

Dunque Anna è ovunque, quasi più presente ora di quanto non lo fosse quando divideva quella vita felice e piena che Baumgartner ricorda senza rimpianti: ha una sua serenità, una sua pacatezza, una sua gentilezza d’animo e saggezza. È un professore come ci immaginiamo che debbano essere i professori, serio e intelligente, educato. Attento a seguire il filo dei pensieri mettendoli sulla carta, attento anche a rileggere con occhio critico quello che ha scritto. Consapevole dei suoi privilegi, grato per le opportunità ricevute e desideroso di ricambiarle. Ma anche aperto alla diversità.

Paul Auster è sempre Paul Auster, lo sappiamo, soprattutto per come le storie ce le racconta. Per quella sua scrittura che è così bella perché è viva eppure tranquilla. Senza eccessi. Tranne che poi in quella superficie tranquilla ogni tanto emerge un aggettivo insolito e dirompente, o una costruzione formale dissonante. Ogni tanto emerge anche un “cazzo!” come a ricordarci che sì, siamo bravi e belli e attenti, però siamo anche umani e imperfetti e arrabbiati. Non la si potrebbe falsificare, la scrittura di Paul Auster.

E siccome Paul Auster è sempre Paul Auster, oltre alle storie nelle storie nelle storie c’è questo finale schiaffeggiante, che dice “si apre il capitolo finale della saga di S.T. Baumgartner.”, e la pagina dopo è bianca e in quella dopo c’è l’indice e poi niente da fare, il libro è finito. Perché anche noi lettori dobbiamo fare la nostra parte, mica vorremo che faccia tutto lui. Ci ha dato gli elementi, ce ne ha dati fin troppi, e ora andiamo avanti noi, lettori saccenti e indolenti. E in effetti, dopo un primo momento di smarrimento e disorientamento e quasi fastidio, sono sicura che ognuno di noi sta andando avanti con la sua personale versione di Baumgartner, chiedendosi cosa farà, se le cose andranno come se le è immaginate oppure se dovrà riaggiustarsi di fronte all’ennesimo imprevisto. Che alla fine sono gli imprevisti, i veri protagonisti dei romanzi di Auster. Del resto, sono i protagonisti di ogni vita, perché non lo dovrebbero essere dei romanzi?

E ci tiene in esercizio, Paul Auster, soltanto essendo Paul Auster. Con gli imprevisti, con i finali che sono pagine bianche, con ogni riga che anche se sembra quello che ci aspettavamo poi però ci porta da un’altra parte. Di questo gli siamo grati. Poi certo se ci volesse regalare anche il capitolo finale della saga di Seymour Baumgartner, beh, sicuramente non ci rifiuteremmo di leggerla.