Possiamo prescindere da tutto ciò di cui la poesia si alimenta, mentre pensiamo a essa circondati da rovine con morti e questioni irrisolte e probabilmente irrisolvibili? Possiamo portare la sua realtà, concreta e visibile, nella nostra realtà di miserie e corpi segnati nonostante la loro insita bellezza? Il negativo (fotografico quanto reale) allenta l’attenzione e nel contempo elabora le forze in chi scrive e (un po’ meno) in chi legge nonostante la lingua sia sempre la stessa, e se cambia (come prevedibile) lo fa in peggio. Per questo ci sono poeti che si affidano a nobili biblioteche accolte in casa come una folla di edifici pensanti e di grandi capacità percettive.
Breviario delle rovine è parte di siffatta vegetazione, libri che sono vere e proprie antologie di un sapere che “è stato”, come mondo di un mondo capace di orientare, dopo che prima di tutto l’autore ha potuto prendervi aria. Magari sul limite del gorgo, come scrive Camillo Sbarbaro, ma con pieno sentimento d’esistenza. Trentacinque anni messi sulla pagina, senza interruzioni, danno l’aria di una passione e di una mania dentro la concretezza del libro. E un coraggio senza sentenze che rappresenta la decisione di una lingua, presa e prolungata nel tempo, non priva di durezza e precisa tattica di sopravvivenza. Tattica può essere un termine travisabile, ma non se pensiamo al sinonimo “criterio”. Se di sinonimi è fatta la vita, un po’ siamo nel giusto provando devozione per una raccolta definita “antologia”, un libro puro e semplice che da altri libri di un passato trae determinazione, resistenza, critica.
Tempo presente e tempo passato contengono in sé nozioni del tempo esposte nei nostri dintorni, come da sempre Pasquale Di Palmo tiene strette nella propria geografia veneziana. Venezia è il luogo topografico dove anche le rovine dominano per millenaria resistenza. Dai pali conficcati nel fango, trasformati in roccia, s’innalza la fibra che s’imprime nei piedi degli abitanti. Non saranno gli stranieri a mutare pietre e accadimenti poetici: lo dice molto bene l’immagine di copertina di questo libro, le Fondamente nuove ritratte da Willy Ronis.
Il distacco pregiudica la sussistenza di ciò che è accaduto nella nostra vita? In quella di Pasquale non sembrerebbe, la rincorsa delle parole verso la luce (che ormai viaggia lontano dalla Terra con tutte le sue informazioni) ha buon esito, poiché in certe poesie sono le stesse calli a riconferire sguardo, e le azioni degli adolescenti sul selciato, e il suono delle parole radicate sui muri sotto lo sguardo attento di Simone Weil. Noi intendiamo come il dialogo col padre indirizzi i passi dell’autore, e i nostri mentre vogliamo decisamente restare nei pressi. È l’inventario del poeta a farci rapportare con la natura letteraria e maggiormente fisica di questo mondo: le partite sui campetti veneziani hanno ancora aromi salati. Ma Proust, lo sa bene Di Palmo, se n’è andato dall’Isola degli Armeni, tornando in terraferma ha lasciato dietro di sé una parola vieppiù sopportabile: anima, quella “cadenza d’onda” che viaggia duratura fra le torri. Per Di Palmo esiste sempre fra le nuvole e i gabbiani, giammai abbattuta da epidemie e guerre. Prima la cattività, poi le ceneri sparse dai bombardamenti a oriente: ciò malgrado, dentro questo libro la poesia resta una grande barena – mobilissima e resistente – di conoscenza.