La scena iniziale è la seguente: la Morte affronta il Cavaliere in una complessa partita a scacchi, premio la sopravvivenza. Il film è Il settimo sigillo, siamo nel 1957 e il regista è lo svedese Bergman. Triste curiosità, l’attore che all’epoca interpretò il Cavaliere, Max von Sydow, pseudonimo di Carl Adolf von Sydow, è mancato l’8 marzo di quest’anno. Tornando a noi, chi non ha mai sognato di sconfiggere la Morte, di vivere a lungo, e addirittura di batterla e sopravviverle? Confessate.
Cambio di scena. Immaginate di fare un salto ai giorni nostri. Di fronte a voi un uomo smilzo che incute paura, Neri, il guardiano del cimitero. Poi spostate lo sguardo e lo posatelo su di una deliziosa fanciulla dai boccoli biondi, è perfetta, sembra una bambola nel suo vestitino rosa e invece è una bimba di otto anni, Gabriela. Siamo a Montebasso, un paesino letargico di tremila anime e quelli che avete appena adocchiato sono la Morte e l’Eroe che si fronteggiano nell’ennesima partita a scacchi.
Anime che hanno superano i secoli scontrandosi di volta in volta, reincarnandosi in una moltitudine di corpi nelle parti più disparate del mondo. Il giovane Lorenzo Vargas, finalista al talent televisivo Masterpiece, ha scelto di dare un volto femminile al Bene, e non a caso quello di una bambina. La purezza, l’innocenza, il bene per antonomasia ma anche una giovane donna, culla di vita. Più consueta la scelta invece della Morte: il custode delle lapidi che comunica con i corvi e risveglia i cadaveri per avere un po’ di compagnia.
Il linguaggio è denso, da non sottovalutare nonostante le duecento pagine scarse che compongono il romanzo. Il peso ideale del libro è decisamente superiore a quello effettivo. La scelta dei termini, la maggior parte desueta, è elegante e preziosa, tanto da rallentare in più punti la lettura e richiedere una piacevole attenzione.
Il tema della lotta tra Bene e Male è inflazionato e talvolta banalizzato, ma nel romanzo di Vargas trova una dimensione di più ampio respiro e una veste nuova, originale. La narrazione cerca di farci riflettere sugli errori ciclici dell’umanità, che come su una ruota, nonostante affronti situazioni che si ripetono, imperterrita ci ricasca senza riconoscerli. Non importa se dietro all’inghippo ci sia uno zampino divino, l’uomo si interfaccia ai problemi d’istinto, senza usare la ragione, causando molto spesso gravi conseguenze.
Un altro tema delicato è il quanto mai attuale pregiudizio del diverso, dello straniero. Nel romanzo inoltre troviamo un’esplicita evocazione della politica di segregazione subita dagli ebrei durante il periodo nazista. Gli abitanti stranieri vengono relegati a vivere i loro vizi lontano dalla società costituita dagli italiani, lavoratori dai sani e vecchi principi, costretti nella parte vecchia della città. Narrativa e critica sociale si alleano e la storia può essere letta come un saggio sulla società contemporanea.