Per conoscere un luogo bisogna attraversarlo, forse addirittura nascerci, se vogliamo intenderci su cosa voglia dire interrogare una strada, una nostalgia, una lingua originaria. Il Piemonte dove è nato Ficara porta spesso verso il meridione della Riviera ligure, basti pensare a Nico Orengo e perché no anche a Conte (Paolo, lo chansonnier, mentre il poeta Giuseppe è da sempre saldamente intrecciato alle sue profezie rivierasche). Leggendo questo libro si vengono a sapere centinaia di storie e di notizie che riguardano le migrazioni dei fiori dall’Africa alla Liguria, quando il Mediterraneo era poco più di un acquitrino. Si viene a sapere quanto di ellenico sia presente sulle pendici che attualmente vanno giù a capofitto verso la schiuma delle onde, e quante intelligenze (e quante ingenue ideologie o poetiche strambe) intellettuali o belliche si siano mobilitate lungo le rive. Favole (ma nemmeno tanto) narrate di turchi e saraceni belli e sanguinari, gesta dei capi della Repubblica Genovese. E di lupi scesi al mare alla ricerca di cibo, e uccisi.
Partenze, soprattutto arrivi come quelli di Rimbaud, Campana, Nietzsche, dalle visioni accecanti e spiritualità disperse. Marinai e contadini alle prese con verdi coste e coltivazioni traballanti, cappa e spada di genovesi dai pochi e tanti scrupoli. E i viaggiatori letterari e più o meno spassosi, deliranti, intelligenti, mondani: Eliot, Yeats, Kokoschka, le sorelle Gish, Hemingway, e quelli con fissa dimora Max Beerbohm e Ezra Pound. Il poeta Camillo Sbarbaro va alla ricerca di licheni, li studia e cataloga. Il poeta Eugenio Montale sa essere mondano senza esserlo, in disparte studia e cataloga le sue Muse. Grande varietà di bellezze hollywoodiane e di Cinecittà approdano ai moli di Portofino e Rapallo su yacht e velieri, quando nei carrugi e nelle piazzette e nelle hall di fastosi Hotel s’incontravano (o meglio si sfioravano) tipi come William Holden, Rita Hayworth, Clark Gable, Ava Gardner, Truman Capote, Soraya, Marcello Mastroianni. Senza dimenticare rampolli e veterani di casate reali e monarchi mediorientali.
Le partenze sono generate da una terra avara, come da sempre si dice. Ma nessuno infine sa quanta parte di eroico e assolutamente straordinario sia custodita nei luoghi meno battuti di questa terra, che diventa terribilmente “visibile” (e perciò vera) quando la si ammira dal mare. Ficara aggiunge alle sue pagine la sostanza della lingua antica, “materna”, che di dialetto i nativi non vogliono sentir parlare. Conversazioni che hanno sempre un’inquietudine da esprimere, con quel tanto di correzioni che bisogna dare alla vita perché prosegua senza danni troppo evidenti, somma priorità per la gente della Riviera. È la scuola del tempo che qui viene offerta, il luogo dove l’aggettivo “felice” non porta con sé le solite dilettevoli amnesie. Basti sapere che di Riviere al mondo ne esistono altre, e che tutte quante hanno necessità di un racconto, con la giusta proporzione fra cronaca e sogno: un tempo irriducibile, storico. La natura ha bisogno dei propri reporter, meglio se adatti alla pedalata o al granturismo su due ruote. La Riviera punta sulle sirene, intese come animali mitici, e su mezzi di trasporto decisamente più compositi e promiscui. E le rive liguri, senza dubbio, si sono largamente specializzate nel pretenderlo.