Corrado Augias (a cura di), Racconti parigini, Einaudi, pp. 296, euro 19,50 stampa
Parigi ha creato il ventesimo secolo, scrive Gertrude Stein nel racconto incluso in questa collezione dedicata alla Ville Lumière. Più corretto sarebbe precisare quanto sia stata Paris a dedicarsi a una troupe di scrittori e artisti che, attirati come vespe, varcando l’Oceano e terre continentali, hanno colonizzato Boulevard e altri arditi spettacoli inventando il ventesimo secolo.
Per la verità già nell’Ottocento non mancarono, da quelle parti, personaggi come Balzac, Hugo, Maupassant, Zola, intenti a esercitare la loro grandezza. Ma questo secolo era proprietà dell’Inghilterra, avendolo creato se diamo retta alle elucubrazioni oppiacee, ma rigorosamente lucide, di Gertrude. Leggendo i racconti difficile darle torto, il ventesimo secolo sembra aver avuto bisogno di Parigi come fondamento. Ce lo dicono i vari Joyce, Valery, Breton, Gide, Hemingway, Beckett, Picasso, Modigliani, Ray, e lo stuolo di scrittrici (e libraie, editrici) dai luminosi nomi: Barnes, Colette, Beach, Monnier, Wharton, Nin, la stessa Stein, e così via.
Poi non bisogna dimenticare la grandeur postuma: anni Cinquanta, le pompe decadute, le tetraggini fittissime, i manifesti di Picasso, i ritagli maliziosi sparsi ovunque, le nottate umide d’ogni genere di liquido, i salottini all’aperto e soprattutto al chiuso, anche le solite solfe, mutandine sistemate o strapazzate, tonic water corrette, le investiture galeotte e anonime della Recherche, tutto sistemato nella Parigi o cara di Arbasino (1960), perché poi non si butta via mai niente. Augias però, da buon residente, ricerca la Cité dell’immaginazione leopardiana, quella “doppia” che unisce l’oculare all’uditiva, la cui potenza prefigura piaceri favolosi, speranze e perfino possesso. Il canone fantastico porta Augias a compilare non un’enciclopedia ma la più semplice antologia possibile, che racconti Parigi con ogni tipo di considerazione, pure vivacemente trasfigurata o flessa all’invenzione. Tanto è pur sempre Paris, geniaccia quale è, a trascinarci nel brivido delle passioni artistiche, nelle esagerazioni sensuali, nei meriti e demeriti della Senna. Fra questi ultimi, l’aver lasciato affogare il poeta Celan.
L’introduzione scritta dal compilatore rivela la sua propensione propedeutica, televisiva, irrinunciabile per chi persegua lo scopo di avvicinare quanto più lettori alle pagine di Proust, Benjamin e Perec. Intenzioni passabili d’encomio, e come può essere altrimenti? Augias sa di dover evitare generiche concupiscenze poetiche, o lascive ridondanze nostalgiche, visto che alla fine della seconda guerra mondiale “lo scettro passava a Manhattan”. Quello di capitale del mondo, ovviamente. La precisione storica e cronistica coglie gran parte delle dimensioni della capitale francese, anche quando si fatica a percorrere vie e quartieri assai mutati, mentre sono poche le magioni ancora intatte e appartenute alla specie leggendaria. Ma queste leggende sono avvolte da memorie protette in modo fiero, non soltanto perché attrattive di un turismo finto colto o sepolture in vita di abitanti ormai quasi del tutto estinti.
E poi i parigini sono giocolieri, uno dei nomi più citati nell’antologia è Fantômas, diabolica invenzione che ha influenzato perfino Magritte. Figurarsi i cittadini residenti sopra un groviglio di fogne, nondimeno meta di allegri gitanti. Lo spazio temporale dei racconti parigini arriva alla recente contemporaneità con Buzzati e Perec, il primo con il racconto di una Tour Eiffel fiabesca che avrebbe oltrepassato di gran lunga l’altezza di 300 metri, continuando gli operai a imbullonare travi su travi, acciaio e ancora acciaio, fino a oltrepassare le nubi, rivelando così un progetto segreto che prevedeva un’altezza fuori di ragione. Perec dal canto suo intraprende la stesura di una lista, dal sapore anch’essa di infinito, che vorrebbe esaurire le cose di minore importanza (generalmente inosservate ma preda del tempo che passa) presenti in un intero quartiere parigino, Saint-Sulpice. Scrittori bizzarri forse, ma capaci (Boris Vian tenta anch’egli una specie di introduzione “scientifica”, o almeno geografica, di Saint-Germain-des-Prés) di catturare l’aria del tempo, i suoi segreti, e la fama più o meno vera, più o meno satura di malintesi.
Insomma, da una città più che mai immaginata nei libri, come scriveva Calvino, a una città dai mille viaggi, ancora una volta ci troviamo a passeggiare nella grande vistosità di Parigi, femmina formosa, segreta e scapestrata.