È grazie al lavoro di Daniele Giglioli e dell’editore Ponte alle Grazie che Trovate Ortensia! viene pubblicato; l’autore, Paolo Zanotti, è scomparso ormai da dieci anni e, se si eccettuano il romanzo Bambini bonsai (Ponte alle Grazie, 2010) e i racconti apparsi su varie riviste quando era in vita, la sua produzione narrativa è interamente postuma. Non sorprende che all’epoca della composizione (collocabile tra la fine degli anni Novanta e inizio Duemila) il romanzo fosse rimasto inedito: Trovate Ortensia! è un testo polimorfo che alterna e confonde letterarietà elevata, funambolismo, virtuosismo linguistico e gergo giovanile, all’interno di cornici narrative permeabili, dove la commedia viene diluita nello horror, il fiabesco distorce i contorni del realistico.
Come per tutti i grandi libri, la storia è insieme facile e impossibile da riassumere: gli equilibri di una compagnia di giovani che vivono a Pisa, in un’epoca ancora quasi completamente incontaminata dai sistemi di comunicazione digitale, sono turbati dall’apparizione di una ragazza poco più che adolescente. Ortensia – che di volta in volta assumerà nomi diversi (Arabella, Viola, Lisa) – è una ninfetta-vampiro, motore del desiderio che spinge a sé gli altri personaggi. Il richiamo alla Carmilla del romanzo di Sheridan Le Fanu è evidente nel testo, denso di rimandi e citazioni letterarie, che non sempre però sono esplicite come in questo caso e spesso sono nascoste o incastonate all’interno di minuti dettagli; lo stesso nome di Ortensia è tratto dall’oscura poesia H di Arthur Rimbaud, contenuta nelle Illuminazioni che ci indica alcuni temi portanti del romanzo. Vista la brevità del testo poetico, lo si riporta di seguito per intero:
Tutte le mostruosità violano i gesti atroci di Hortense. La sua solitudine è la meccanica erotica, la sua stanchezza, la dinamica amorosa. Sotto la sorveglianza di un’infanzia è stata, in numerose epoche, l’ardente igiene delle razze. La sua porta è aperta alla miseria. Lì, la moralità degli esseri attuali si scorpora nella sua passione o nella sua azione – O brivido tremendo degli amori novizi sul suolo sanguinante e nell’idrogeno luminoso! trovate Hortense.
Un erotismo inquietante irradia da Ortensia, un languore malsano, ma soprattutto l’immagine di un’infanzia tradita, vuoi perché contaminata dal desiderio altrui, vuoi perché obliata dallo scorrere del tempo. Come si diceva, questa atmosfera di dannazione onirica è mescolata in maniera originale con una matrice comica che ricalca e irride il modello del romanzo giovanile italiano degli anni Novanta (Brizzi, Culicchia) e ricrea il sound del linguaggio parlato dalla fauna studentesca pisana a livelli di mimetismo tale da far quasi dimenticare al lettore di stare leggendo. Anche più divertente di alcune scene rappresentate, è la lettura del “Glossario essenziale” riportato in fondo al libro, che ci insegna come decifrare lo slang. In un momento della storia, per esempio, assistiamo a un inseguimento giocoso e aggressivo tra due auto cariche di ragazzi: “O buidiùlo!!! dalla Fiesta nera, e poi prova di nuovo a inchiodare, ma la Fiesta bianca si esibisce in un’audace inversione a U, anzi a O, e si porta di nuovo alle spalle. Da come sobbalza si intuisce che devono essere in tanti, nella Fiesta bianca, e non bastasse questo si sentono anche risate un po’ gonfie, atmosfera festosa e amichevole che prelude al telefunken, e poi tutti (saranno almeno quattro) attaccano in coro – imitando la voce del Mazza che a sua volta imita Pelù”. Scena dinamica e gustosa da leggere, che non necessita di particolari traduzioni, ma per cui il glossario offre una preziosa risorsa. Se il significato “buidiùlo” risulta chiaro con uno sforzo minimo, al lettore lontano dai tempi e dai luoghi della storia probabilmente sfugge la così detta pratica del “telefunken”: “Telefunken: ‘fare il telefunken’ (molto, molto gergale) sta per quel grazioso sfottò rivolto ad amici o passanti in cui, sfilando in auto, l’esibizionista del gruppo mostra il proprio posteriore denudato e inquadrato dal finestrino”.
Non dobbiamo dimenticare che quando ha scritto questo romanzo, Zanotti era un ragazzo di circa vent’anni, un normalista che non perdeva occasione per fare sfoggio di erudizione nella scrittura, come si è detto, nascondendo citazioni, ma anche dando risalto alle passioni letterarie che lo animavano. È il caso della tragicommedia Il racconto d’inverno, opera shakespeariana che uno dei protagonisti (Florian) intende mettere in scena e di cui si parla continuamente nel libro. Oltre a delineare parallelismi rispetto alla linea narrativa principale, la presenza dell’opera nel romanzo può essere utilizzata come chiave di lettura per la sua natura ibrida, in cui la tragedia volge in commedia, la realtà è invasa dal sogno, i morti ritornano a vivere: coppie oppositive tra cui si genera uno spazio carico di tensione specifica, ossia lo sforzo straziante e inutile, profuso per recuperare l’infanzia. È questo desiderio che muove i personaggi spingendoli verso Ortensia e che a volte viene scambiato per fascinazione, altre per brama di possesso, oppure, più superficialmente, per un curioso déjà vu. Le conseguenze di questo approssimarsi alla ragazza-vampiro saranno in genere nefaste, tuttavia Ortensia non agisce come una creatura demoniaca, ma piuttosto come simulacro di un’entità fantasmatica che la abita e che la usa per compiere una vendetta di cui non è pienamente consapevole. Sarà questa, la sottotrama da romanzo giallo (forse la più scontata all’interno del racconto), che proietterà il lettore verso orizzonti gotici, resi con l’interpolazione di brani epistolari composti con ineccepibile piglio ottocentesco da Zanotti.
Si dovevano attendere vent’anni affinché i tempi fossero maturi per la ricezione di un’opera come Trovate Ortensia!, anni in cui abbiamo assistito a una graduale apertura rispetto alla narrativa fantastica e soprattutto all’accettazione di forme di romanzo meno vincolate al concetto di genere. Tuttavia il romanzo di Zanotti non si configura come esito di un atteggiamento postmoderno rispetto ai materiali e alle modalità con cui vengono trattati (commistione di registro “basso” e “alto”, ammiccamenti a forme di narrazione “popolare”), o meglio, se anche così fosse non basterebbe a renderlo un’opera rilevante. È la graduale penetrazione dell’elemento fantastico, praticata con modalità inedite, a caratterizzare il romanzo, quasi a voler risolvere l’incidente della narrativa realistica insieme con la fine del millennio appena terminato.
Concludendo possiamo dire che Trovate Ortensia! non è un romanzo perfetto o equilibrato, in cui alcune falle, forse dovute alla mole dell’opera, risultano visibili; tuttavia è possibile che l’essere scampato alla pubblicazione all’epoca della sua stesura possa averne preservato il carattere proteiforme e di conseguenza averne mantenuto energia e vitalità. Un sospiro di sollievo per quest’opera che poteva andare perduta, dimenticata in un cassetto, ma che grazie allo sforzo di qualcuno, è stata infine trovata!