Paolo Scardanelli / Il terzo capitolo di un romanzo filosofico

Paolo Scardanelli, L’accordo. L’ombra, Carbonio Editore, pp. 235, euro 15,00 stampa, euro 7,99 epub

Eccessivo, poetico, potente, colto, ironico, trasgressivo. Il nuovo romanzo di Paolo Scardanelli, L’accordo. L’ombra, che arriva in libreria, sempre per Carbonio, dopo L’accordo. Era l’estate del 1979 e L’accordo. I vivi e i morti, è tutto questo, e molto altro. Ancora una volta, infatti, l’autore sembra prendere gusto nel creare un’opera che sfugge a ogni definizione, a ogni incasellamento, giocando con il lettore sul filo sospeso tra letteratura e vita, in un equilibrio tanto precario quanto pericoloso, affacciato com’è sull’abisso del senso: in palio c’è nientemeno che la Comprensione stessa dell’esistenza, ma il rischio è la rovinosa caduta nel Nulla.

Un romanzo filosofico, dunque? Certo, ma per scompigliare meglio le carte, Scardanelli propone un romanzo filosofico intessuto in una trama crime, con tanto di furti, assassinii, inseguimenti internazionali, ferite e sangue che scorre. E, naturalmente, personaggi indimenticabili, a partire dal professor Robecchi, in bilico tra il fascino dell’esteta e la caricatura di sé stesso, sempre volutamente al confine tra grottesco e sublime. Robecchi, illustre docente universitario, è il padre di Greta, la giovane donna di Bruno, il protagonista attorno a cui si dipanano tutte le vicende e tutte le domande, l’antieroe ribelle e spregiudicato, figlio di Anna e Andrea che, come il padre ormai scomparso da trent’anni, ha scelto consapevolmente una vita nell’ombra, rifiutando non solo a parole (come sembra fare Robecchi) ma anche nei fatti, ogni convenzione borghese, opponendosi con tutto il suo essere a una morale capitalista e annichilente.

Se l’aspirazione a liberarsi del fardello che tiene invischiati gli uomini contemporanei nella conformità a regole chiuse e bigotte, condannandoli a una mediocrità senza scampo, è insito nella natura stessa di Bruno, per chi lo ama – come da tradizione, i personaggi femminili: la madre, la fidanzata – non è facile accettare il risvolto pratico disastroso dei suoi ideali, che si traducono nella fuga – tra Milano, Riga e Catania, città che prendono vita attraverso le strade in cui si snodano gli eventi cruciali narrati –, nell’abbandono, nella solitudine.

Solitudine che sembra essere, per i personaggi di Scardanelli, una costante, la condizione umana di base che è necessario accettare per poter poi, eventualmente e solo in presenza di determinate e del tutto fortuite circostanze, aggirare, illudendosi di averla superata, per poi ricadervi. È tutto dunque uno sforzo vano? La luce e l’ombra, i buoni e i cattivi, non sono che nomi svuotati di senso che permettono alle illusioni di perpetrarsi? Sì, e no. Scardanelli non è mai univoco, lascia aperte negli intrecci delle sue storie brecce di possibilità altre, eventualità di infiltrazioni capaci di modificare l’intera impalcatura della narrazione, che procede stentorea con il suo ritmo eterogeneo, a tratti incalzante, a tratti pensosa, restituendo anche nello stile una complessità e una stratificazione che imprimono sulla pagina lo stile di un autore unico, impermeabile alle mode e capace di fondere filosofia, musica rock e poesia in un’opera che, se non sempre evita – volutamente – note che possono apparire stonate, è capace di lasciare un’impronta fondamentale nella memoria del lettore: quella del dubbio. E lo fa, come nella migliore tradizione filosofica, senza prendersi troppo sul serio: tra personaggi in preda a dubbi esistenziali, nell’eterna lotta tra luce e ombra, tra vita e morte, o, ancora più importante, tra vita e amore, il potere nascosto della letteratura di Scardanelli si nasconde tra le pieghe di frasi altisonanti, di dialoghi mozzati e frasi sospese: l’ironia. Un’ironia sottile e quasi impercettibile, ma accennata quel tanto che basta per tenere la mente accesa davanti alle iperboli del romanzo, che tanto spesso richiamano le assurdità della vita.