Il nuovo romanzo di Paolo Scardanelli, scrittore e geologo siciliano di cui Carbonio ha già pubblicato, nel 2020, L’accordo. Era l’estate 1979, si apre come un thriller, in piena scena del crimine: al centro del cortile della Statale di Milano giacciono, orribilmente trucidati e disposti a formare una rosa dei venti, i corpi di otto ricercatori. Non mancano nemmeno la prima sospettata – la professoressa di Estetica Loredana Robecchi, ritrovata a vagare nuda per l’Università in stato di choc e con le mani insanguinate –, il commissario, i dubbi, le supposizioni e i rilievi della scientifica.
Tuttavia, dalla scena successiva intuiamo che l’efferato delitto è solo un pretesto per un progetto narrativo di più ampio respiro, dove allo stile tipico del thriller si mescolano altri linguaggi, che uniscono i toni alti di una prosa raffinata ed evocativa a dialoghi serrati e ironici, capaci di esprimere la concretezza del qui e ora in cui si situano. Non solo, nelle pagine di Scardanelli, accanto alla letteratura scorrono la filosofia e la musica rock, la poesia e la religione, in un mix linguistico tanto eterogeneo quanto sorprendentemente riuscito e adatto alla sfida narrativa dell’autore: quella di raccontare un nuovo Faust, un patto con il diavolo nella contemporaneità. Ecco allora che la scelta barocca di un linguaggio esuberante e cangiante si sposa in un’unione selvaggia con la trama e il significato dell’opera. Tutto straborda nel romanzo, dalle altezze filosofiche alle descrizioni truci, dalle citazioni musicali all’inglese che si inserisce qua e là a spezzare un ritmo che sembrava quieto: ma quale altro modo potrebbe esistere per affrontare oggi, in letteratura, il mito dell’uomo che vende l’anima al diavolo, e di rappresentare per iscritto lui, Mefistofele, Principe delle Tenebre e inquietante saltimbanco, se non quello di usare un linguaggio pervasivo e disturbante?
L’uomo che nel romanzo di Scardanelli acconsente al patto ultraterreno è Fabio Pugno, marito dell’accusata Loredana Robecchi e scrittore di successo, tormentato dalla ricerca di un significato della vita umana che vada al di là di una tranquilla e borghese esistenza vissuta volteggiando tra abitudini e debolezze sulla superficie avvolgente e vuota dell’apparenza. Fabio Pugno promette l’anima al diavolo in cambio, nientemeno, della Verità. In un tormentato saliscendi di eventi ed emozioni, Pugno e Marilyn (il nome con cui il Diavolo si presenta allo scrittore) seguono da un lato la trama principale del romanzo iniziata con gli omicidi milanesi, dall’altro ricalcano, rivisitandole, le orme della tradizione faustiana, tra balli delle streghe e incontri sensuali – non a caso, la piccola gitana che farà perdere la testa allo scrittore si chiamerà Greta, esplicito omaggio alla Gretchen goethiana –, tra simboli e luoghi magici.
A inseguirli nella loro folle corsa attraverso lo spazio e il tempo, una compagine ben riuscita di personaggi secondari, dal razionale commissario Belletti a Loredana, vittima designata di qualcosa che la trascende, e che tuttavia appartiene al suo destino.
Scardanelli firma un’opera fuori da ogni schema, un’opera che non ha paura di sfidare il lettore provocandolo con tematiche profonde e un linguaggio dissacrante, a tratti duro ma sempre calzante. Quello che conterà, alla fine delle avventure di Pugno, non sarà la riuscita della sua impresa, ma il senso stesso della sua sfida a un mondo che, giorno dopo giorno, chiede all’uomo di accontentarsi, senza farsi troppe domande, senza mai mettersi in discussione. Il prezzo che Pugno sceglie di pagare è altissimo, ma il segno che si propone di lasciare, la breccia aperta di una ferita sanguinante che inviti a chiedersi il perché delle cose, è duraturo, è il rifiuto categorico di accettare che le cose non possano cambiare, che le responsabilità siano sempre altrove, che il momento buono non sia mai adesso. “Cosa ci resta se non scomparire e dissolverci?” “L’Eternità; non è essa che aneli?”