Paolo Rumiz / Le Venezie del mondo

Paolo Rumiz, La rotta per Lepanto, Bottega Errante Edizioni, pp. 143, euro 16,00 stampa, euro 10,99 epub

Le Venezie mediterranee (per al di là di Gibilterra, verso l’Atlantico, si vedrà) sono molteplici, almeno quante sono le isole che affiorano in Adriatico lungo le coste dalla Baia di Bagnole a Itaca. La carta fra le mani di Paolo Rumiz, dove naviga “con la mente”, è un foglio lungo cinque metri piegato a fisarmonica, fitto di annotazioni e di appunti, anche di correzioni che nel tempo si sono accumulate perché poi, si sa, mente e geografia sono mutevoli e mutabili, e le guide vanno perennemente aggiornate – con una folle esigenza di eleganza e praticità a cui il navigatore di mari e Storia non può (non deve) rinunciare. Il cuore del viaggio dalla Serenissima a Lepanto è tutto qua, in questo reportage in cui il turismo si sgretola rivelando la vera natura delle mappe di Rumiz e la vera natura di quel mare che ha visto galere e galeotti, argonauti e pirati, navi della marina asburgica e sommergibili tedeschi, naufraghi e naufragi, Ulisse e ulissidi, e imbarcati all’ombra di finti o veri Melville.

Rumiz si avvia in un giorno ventoso, la barca fila lungo riva degli Schiavoni, nel canale d’uscita dall’Arsenale l’acqua è torbida, il caffè bolle sottocoperta e l’imbarco verso Oriente non ha nulla a che fare con le milionate di turisti senza alcuna vocazione sulle loro facce stupite e stupide. Solo i temporali li fanno sparire, Venezia sa come fare (sempre più debolmente, però) per difendere le proprie soglie armate. Si entra così nel Mar Grando, a navigare lungo il lato Est dell’Adriatico, così come facevano i Greci e i “veneziani”, secondo cui le spiagge italiche “erano da evitare come la peste”. È l’ora delle vele, e pensare a Lepanto verso cui si va è immaginare ventimila remi nel preludio della battaglia, vedere la leggenda e la sua fine.

Obbligatorio seguire quanto viene ventosamente offerto da questo reportage, invocando per sé la fortuna in vita di seguirne la rotta, in un’epoca che non contempli nuove astronavi ma cambuse odorose, gorgoglii e scrosci, sussurri e scricchiolii di una barca che c’entra ancora con isole e natanti affondati sotto di sé e occhi di naviganti non smemorati né rammolliti, occhi che aspettano l’uscir delle stelle quando sanno bene che in quella geografia Pola è la soglia del viaggio. E giù con un centinaio di pagine dove racconti, storie, condizioni ambientali, cronache e informazioni (allegre o tristi) si stratificano seguendo le bizzarrie dei venti, maestrale in testa. Nomi di isole, nomi di uomini, in formazione come cormorani mai stanchi o tutt’al più in riposo, appaiono in bell’evidenza, al contrario dei fari che qui, in Adriatico, ci sono ma nessuno ne parla e chissà perché, al netto della modernità satellitare che spesso fa estinguere una civiltà millenaria e rende il cosmo pericoloso sopra il nostro povero pianeta. Invece Rumiz indomito elenca, rende a noi i nomi dei luoghi e delle cose, delle varie popolazioni e non rinuncia a burrasche e bonacce pur di contare sulla propria carta guardando il cielo come i Fenici. Come ci si orienta? “Guarda in alto”.

La tanta narrazione di questo viaggio costeggia (realmente) la grande storia greca, Rumiz temendo di farsi sfuggire di mano avvenimenti che contrastarono i venti oscuri dei fascismi (e che oggi ancora tentano di riassestare l’ingiusta eclisse della civiltà), si concentra sulle descrizioni di quanto la barca sonda nei suoi approdi, affrontando il mare della complessità – isolana e indigena. Riascolta la sismicità occidentale e estremista, l’11 settembre e il 9 novembre (doppio Ground Zero, per dirla tutta: Torri Gemelle, Ponte vecchio sulla Neretva), i crolli sempre avvenuti in un disordine di fronte al mare. Infine Itaca, dove il mare ha sapore di sangue e Ulisse s’è disperso nella tensione del vento lì sempre presente perché la “linea di scontro” Oriente/Occidente continua a pulsare da millenni. Venezia lontana, ma si sente ovunque, nelle molte Venezie. Lepanto è lì col suo infuocato 1571: grandi e piccole storie sono contemporanee, come le lotte furibonde dei gatti, la catastrofe del topo a bordo, il caffè nero uguale se turco o greco. Ma il bene galleggiante per Rumiz è sempre lo stesso: sia lode alle vele, alla memoria, alla carta del viaggio.