Paolo Nori / Cosa sappiamo di Anna Achmatova?

Paolo Nori, Vi avverto che vivo per l’ultima volta. Noi e Anna Achmatova, Mondadori, pp. 264, euro 18,50 stampa, euro 9,99 epub

In un recente post su Facebook, lo scrittore Paolo di Paolo ha scritto che un recensore dovrebbe non tanto stroncare o lodare “quanto argomentare, connettere, approfondire, cercare un orizzonte di senso prima che di giudizio, soprattutto se tranchant (vale quanto l’apologia, cioè zero)”. Nel libro di Paolo Nori, che dovrebbe raccontare di Anna Achmatova e noi – così recita il sottotitolo – l’orizzonte di senso è vago a frammentato, come se in qualche modo l’autore temesse di costruirlo. Un timore, questo, che forse ha determinato le lodi come le stroncature delle già molte recensioni di Vi avverto che vivo per l’ultima volta.

Nori scrive continuamente “non so”, lo dice così tante volte che viene da pensare che lo usi come un intercalare quando vuole fingere di non sapere qualcosa di ovvio: come fanno a volte gli scrittori umoristi (Twain lo usa, ad esempio, talvolta) che scrivono una evidente castroneria e poi aggiungono in coda quel “non so” che strizza l’occhio al lettore. Nori, se sta fingendo, lo fa fino in fondo e non sai se la modestia è falsa o reale. Viene da pensare che forse è perché effettivamente non sa molto di Achmatova, che riporta una serie di citazioni e di aneddoti sulla poetessa ma soprattutto su altri esponenti della letteratura russa, che ben conosce e traduce, componendo un collage di cose interessanti, probabilmente lì pronte nel cassetto per essere usate.

L’autore è un traduttore consapevole delle difficoltà del tradurre, che è certo un tradire; trascrive una citazione di un film di Jim Jarmusch che dice “Leggere la poesia in traduzione è come fare la doccia con l’impermeabile” e poi scrive “a me sembra che nelle poesie di Anna Achmatova piova così forte che ci si bagna anche con l’impermeabile”. Sotto la pioggia, guarda Achmatova da lontano, senza tentare la via dell’introspezione psicologica. Forse un merito del libro è che dopo averlo finito si andranno a cercare le poesie, le biografie e gli articoli su di lei, per provare a capirci qualcosa.

Anna Achmatova è una figura inafferrabile dal profilo indimenticabile, stampato in copertina con tutto il suo naso di una celebre foto. Inafferrabile come, riprendendo l’inizio di una poesia, in uno di quei giorni che precedono la primavera “sotto la neve compatta riposa il prato”. Ecco, il libro di Nori è tutto neve, copre tutto, e questo per taluni può essere infastidente, per altri forse confortante. Anche perché si mette subito in chiaro che il destino di Anna è duro e infelice.

Nata nel 1889, Anna Gorenko già adolescente muta il cognome dopo che il padre le aveva detto di non disonorare il suo con una attività così discutibile – la poesia. Uno pseudonimo ipnotizzante, forse per via delle cinque A, come scrisse Brodskij. Quando è molto piccola la famiglia si trasferisce nel villaggio di Carskoe Selo (noto per essere luogo di villeggiatura estivo degli zar), vicino a San Pietroburgo. Inizia a scrivere giovanissima, ha svariati amanti e si sposa tre volte: il primo marito Nikolaj Gumilëv, poeta anche lui, verrà fucilato nel 1921 (dopo aver già divorziato da Achmatova) con l’accusa di aver partecipato a un complotto monarchico; il secondo marito fu, per tre anni, V.K. Silejko, orientalista e traduttore di tavolette sumere; il terzo, tra gli anni Venti e Trenta, lo scrittore Nikolaj Punin, che, arrestato più volte dal regime sovietico, morirà in un gulag nel 1953. Con il figlio Lev, avuto dal primo marito, sopravvissuto a tre arresti e alla prigionia, avrà sempre un rapporto complesso.

Un volto triste anche quando sorrideva, si dice di Achmatova, calcando molto la mano sul suo personaggio infelice. È strana, non le piace vedere i propri versi stampati, è come “se avessi dimenticato sul tavolo una calza o un reggiseno”. La sua poesia intima, minimalista, indugia sull’amore che finisce male e sul malamore, sul lato dark della vita, sulle cose del quotidiano che restano a ricordarci quanto è andato perduto ma anche quanto resta da vivere. In poche righe racchiude la storia di una relazione, di una incomprensione, di anni di vita e di attimi di desiderio.

Quando nel 1946 viene espulsa dall’unione degli scrittori russi, Andrej Ždanov, che dirige la commissione esecutiva dell’unione, a motivazione dell’espulsione dice che i versi della Achmatova “sono impregnati di pessimismo e decadentismo, e tradiscono l’inclinazione a una poesia falsa, vuota, da salone aristocratico, su posizioni borghesi, aristocratiche, decadenti (…) sono dannosi per l’educazione della nostra gioventù e non sono tollerabili, nella letteratura sovietica. Mezza suora, mezza prostituta, o meglio, sia suora che prostituta, mischia il sesso alle preghiere; questa è l’Achmatova, con la sua piccola, misera vita privata, le sue emozioni insignificanti (…)”. Del discorso lei se ne accorge la sera “quando srotola il foglio di giornale in cui era avvolto il pesce che aveva comprato al mercato e ci trova il proprio nome”. Una vita infelice? In una poesia però diceva: “Questa vita è perfetta: / cuore, sii dunque saggio”.

Tra gli sprazzi della vita perfetta o perfettamente infelice di Achmatova, Nori inserisce frammenti non minimalisti della propria vita privata, della (ex) moglie e della figlia. E, soprattutto, infila una serie di riflessioni sulla guerra tra Russia e Ucraina, a seguito di un evento che lo ha visto protagonista: sul finire del 2021 l’Università Bicocca di Milano ha annullato un suo seminario su Dostoevskij in nome di un imbarazzante ‘politicamente corretto’. Achmatova è nata in una località vicino a Odessa, oggi in Ucraina, alla stregua di altri scrittori noti unanimemente come russi (Bulgakov e Gogol’ su tutti) per quanto nati in territorio oggi ucraino. È evidentemente insensato, al di là delle prese di posizione sul conflitto odierno, osteggiare la letteratura russa (dove spiccano per altro grandi oppositori e oppressi dei regimi del passato, come Dostoevskij e Achmatova stessi) come se gli errori dei governi del presente si ripercuotessero, infangandolo, su tutto il popolo russo, sulla cultura nel suo insieme, e anche retroattivamente. La percezione che noi occidentali costruiamo – se proprio non possiamo farne a meno – dei russi di oggi cattivi e invasori non dovrebbe in alcun modo gettare ombre sui russi del passato anche recente. Ci si vergogna quasi, a scriverlo, e su questo tema non si può non essere d’accordo con Nori. Anche lui, in effetti, in questi frangenti dirada i suoi “non so”.

Però c’è qualcosa che non torna. Come se Anna Achmatova fosse un po’ strattonata qua e là e non fosse mai ferma, lì di fronte a noi, in bella vista. Quanto bisogno si sente, alla fine del libro, di quella misera vita privata, di quelle emozioni insignificanti, del sesso mescolato alle preghiere. Scriveva in una poesia, rivolgendosi probabilmente al primo marito, anche lui poeta: “la nostra condanna è dissipare, non serbare”. Dissipando dissipando è rimasto, si direbbe, ben poco. Andiamolo a cercare.

Le citazioni dei versi di Achmatova sono tratte dal libretto Poesie, Nuova Accademia Editrice 1962. Le altre citazioni provengono dal libro di Paolo Nori.