Anita e Giacomo, i protagonisti di questa storia, sono una coppia di mezza età che vive in una provincia italiana di cui non conosciamo il nome, ma che dalle vaghe descrizioni che ci vengono fornite, mi ha rimandato al centro-nord della penisola. Giacomo è un professore mentre Anita non lavora, stanno insieme dai tempi dell’università e arrivati alla soglia dei cinquant’anni sono una coppia “come tante”, anche se questa definizione mi è sempre sembrata riduttiva. Hanno i propri riti e le abitudini che si trascinano nonostante tutto, immersi nella routine che forse ha un qualcosa di rassicurante ma che ogni tanto ti opprime, dopo più di vent’anni passati insieme.
Sono esperienze che non ho ancora vissuto, un pezzo di vita che mi manca di cui ho letto, visto nei film al cinema e in tv e ascoltato nelle storie di persone a me vicine, ma anche osservando le coppie di adulti. Già da bambina mi chiedevo come fosse la vita insieme, cercando di decifrare lo sguardo di chi cammina tenendosi per mano, chi sottobraccio e chi non si tocca nemmeno. Anche Paolo Massari, classe ’88, al suo esordio letterario ha sicuramente dovuto, per questioni anagrafiche, pescare dalle vite degli altri, come ovviamente fanno tutti coloro che amano raccontare storie, ed è stato in grado di delineare un’ottima voce narrante.
Quindi abbiamo due che si amano a modo loro, trovando tra le tensioni quotidiane dei momenti di tenerezza. Mentre la vita scorre senza troppi scossoni, tra lavoro e questioni personali, in un giorno qualunque Giacomo accompagna la moglie in ospedale per un controllo, ha dei fastidi. Passa un tempo interminabile dentro lo studio medico, e lui, che la aspetta fuori, inizia a preoccuparsi. Il senso di angoscia di Giacomo non è immotivato, il medico comunica loro una pesante diagnosi che in pochi mesi porterà Anita alla morte.
In realtà noi la conosciamo da viva solo attraverso le parole di Giacomo, che la mattina del funerale della moglie inizia un intenso dialogo con Luigi Bellucci, il padre della sua Anitoski. Il dialogo avviene nella sua mente, perché il suocero è morto qualche anno prima. Comincia a raccontargli tutto della loro vita insieme, perlomeno quanto riesce a ricordare, i momenti piccoli e apparentemente insignificanti e quelli che li hanno segnati profondamente. Non ha interesse a indorare la pillola e non fa sconti a nessuno, soprattutto a sé stesso, nonostante agli occhi di quel suocero imponente si sia sempre sentito poco apprezzato e non sia mai riuscito a instaurare con lui un legame. Eppure, è l’unico con cui si sente di parlare, anche mentre è immerso nel mondo reale, nel pranzo con i parenti della moglie nel suo paesino d’origine, che a malapena riesce a tollerare per lo stretto necessario. Forse nella sua chiacchierata vuole anche raccontargli di più di quella figlia che lo amava tanto e che da lui si era sentita tante volte sminuita.
Questa storia, con un decorso tristemente simile a quello di tante che probabilmente abbiamo anche vissuto da vicino, è una tragedia che ci sembra sempre ingiusta, intrappolati nel senso di impotenza causato dal vedere qualcuno che si spegne lentamente, consumato da una malattia che ne cancella i connotati fino a renderlo irriconoscibile. Il romanzo si svolge nello spazio di un giorno ma si allarga a macchia d’olio fino a coprire una vita di coppia, metà della vita di due persone e quella di altri che incontrano lungo la strada. Massari, con un linguaggio asciutto e che va dritto al punto, riesce a rendere la quotidianità, la disperazione della perdita e le piccole rincuoranti bassezze di noi tutti quando ci sentiamo inermi di fronte al dolore, mantenendo però uno spiraglio di luce che ci accompagna piacevolmente nella lettura.