Una xenomorfa che ribalta il concetto tradizionale di maternità ingravidando corpi umani, replicanti che si ribellano al destino per il quale sono stati concepiti, un alieno mutante e un segnale televisivo capace di produrre neoplasie mortali. Sono questi gli antagonisti di quattro film che tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta hanno determinato una svolta radicale nell’immaginario politico e sociale. Si tratta di Alien (1979) e Blade Runner (1982), entrambi di Ridley Scott, La Cosa (1982) di John Carpenter e Videodrome (1983) di David Cronenberg. A sostenere questa tesi, nel saggio Alle radici di un nuovo immaginario, sono Paolo Lago e Gioacchino Toni.
I due autori individuano in queste pellicole gli elementi che sono alla base dell’orizzonte simbolico contemporaneo: l’approccio problematico all’alterità, la perdita di controllo sulle tecnologie, la visione distopica e “obsoleta” del futuro. A differenza della fantascienza degli anni cinquanta, in cui il nemico rimandava a chiari connotati d’Oltrecortina, il nuovo antagonista si confonde con gli umani, li feconda, li ibrida o ne assume le sembianze. Le conseguenze sono disastrose: nessuno è più certo della propria identità, la comunità umana collassa sotto il peso della diffidenza e dell’individualismo. Anche sul versante della scienza e della tecnologia il capovolgimento di prospettiva rispetto al passato è netto. Queste, lungi dal rappresentare un beneficio, sono diventate nemiche dell’essere umano. Sempre in Alien, la xenomorfa è l’altra faccia dell’androide che ne ha permesso l’ingresso a bordo su indicazione della Compagnia: “l’irrazionalità omicida di Alien – sostengono Lago e Toni – in fin dei conti non è poi così diversa dall’irrazionalità che presiede al sistema di produzione capitalistico. La pellicola sembra anticipare, più o meno consapevolmente, la svolta individualista che diverrà uno dei peggiori tratti distintivi degli Ottanta.”
Ancora più esplicito è il messaggio che ci consegna Videodrome: la tecnologia televisiva emana onde cancerogene capaci di produrre allucinazioni e di ucciderci. Nel finale, Max, il protagonista, guarda un televisore che trasmette un video della sua amante che gli propone di abbandonare la “vecchia carne”. In una scena successiva il televisore trasmette le immagini dello stesso Max che attua questa indicazione sparandosi in testa. Nel momento in cui ciò avviene, il televisore esplode vomitando interiora. L’ultima scena del film mostra Max che si spara in testa, replicando esattamente quanto si vedeva sullo schermo catodico pochi istanti prima.
In questo nuovo immaginario il futuro perde ogni connotazione positiva. Nella maggior parte della produzione cinematografica fino agli anni Settanta il futuro era lastricato di superfici asettiche e la razionalità dominava ogni aspetto. L’astronave Nostromo di Alien invece è un ammasso barocco di tubi, pertugi e anfratti umidi. Similmente la stazione polare della Cosa è uno spazio disordinato, sporco e imprigionante. Le stesse considerazioni valgono per la Los Angeles di Blade Runner: una città dai tratti gotici, perennemente immersa nella notte e tormentata dalla pioggia. L’immagine del futuro è anticata.
Lago e Toni riportano una citazione di Valerio Evangelisti in esergo: “L’immaginario è tra i terreni salienti di battaglia, per chi voglia sottrarsi alla dittatura più insinuante, senza scrupoli e invasiva che la storia ricordi.” Da questo punto di vista le analisi dettagliate delle scene dei film, i rimandi filosofici, i confronti con altre opere cinematografiche, rivelano una vocazione critica che sottrae il saggio al solo pubblico degli addetti ai lavori mettendolo a disposizione di tutti coloro che vogliono capire il presente per cambiarlo.