Non c’è bisogno di essere molto avanti negli anni per fermarsi e riflettere sul proprio passato. Non un’operazione narcisistica su quanto eravamo belli e quanto eravamo bravi in gioventù. Nemmeno un’operazione melanconica, spesso ritrovata nei libri o in certa cinematografia. Si propone qui qualcosa di più serio, complesso e profondo, un’occasione per ripensare a come gli altri siano entrati in relazione con noi. Si tratti del lavoro di insegnante (supplente) che attraverso l’incontro con un suo ex studente si accorge addirittura di non essere ricordato per nulla, o dei primi approcci assai maldestri di un amore giovanile lontano da casa, o di persone frequentate più a lungo che alla fine ti rimproverano una freddezza e un distacco che dietro la scusa dello studio ad alta intensità svelano in te una dolorosissima incapacità di relazione… varie le opzioni ma tutto rimanda verso la necessità di comprendere le tracce che abbiamo lasciato nel mondo durante la nostra vita, ma soprattutto, di conoscere e comprendere la memoria che hanno conservato di noi gli altri.
È questo il lungo viaggio del prof. Mauro Barbi, illustre storico arrivato sulle sponde del lago di Costanza a ricostruire i fatti della piccola glaciazione che in sei mesi, durante il 1572 e il 1573 strinse nella morsa del freddo tutta quella zona e fece gelare il lago. È la proposta letteraria di Romanzo senza umani di Paolo Di Paolo, al centro del quale il tema delle relazioni viene presentato come elemento decisivo per la vita di ciascuno. Nei fatti, i gravi danni della glaciazione, come la catasta di uccelli morti che viene evocata nelle prime pagine del libro, sembrano suscitare solo indifferenza perché non sono visti con occhi umani. Si trovano così a confronto due dimensioni del passato, uno lontana e l’altra più ravvicinata, che compongono un’unica occasione di riflessione.
Il romanzo procede con chiarezza verso una serie di fatti e di connessioni nel cui racconto non è priva l’ironia anche se meno presente della preoccupazione elargita dal vissuto. Una preoccupazione che conduce fino alla paura e al rimprovero per “aver dato così poco”. Ma il tempo è passato, come quello della glaciazione avvenuta molti secoli prima, il tempo è “perduto” direbbe l’autore con Proust, che all’interno del romanzo viene salutato scherzosamente in grazia della profonda fedeltà letteraria fra Di Paolo e lo scrittore francese.
Il tempo in verità non esiste, per la vita privata, ma esiste solo per la storia. Il mondo cambia e si deteriora, ma forse rinasce. Per gli esseri umani esiste invece solo il presente. Allora attenti a come ci si muove. Attenti a distrarsi o a essere troppo impulsivi. Può capitare di fare un incidente in auto con una giovane donna. Prendersi quasi a male parole e poi, dopo un bel po’ di tempo, sentire il bisogno di fare una telefonata riparatrice nel timore di essere stati troppo aggressivi o addirittura di aver rovinato un rapporto (che, praticamente, non esiste). Oppure può capitare di rispondere a una mail quindici anni dopo averla ricevuta. La questione del tempo ritorna prepotente quando il protagonista si domanda, in modo beffardo, che senso possa avere cercare nel lago di Costanza di oggi le ragioni di una glaciazione avvenuta circa cinquecento anni prima.
Il protagonista per momento ha la tentazione di abbandonarsi alla nostalgia. E il viaggio sarebbe la giusta occasione. Ma con un piccolo sforzo ci rinuncia e continua a condurre il lettore in questo percorso letterario a carattere esistenziale, colto – per i numerosi riferimenti alla letteratura mitteleuropea – e sofferto, in una dimensione in cui la natura e il paesaggio costituiscono un monito e occasioni di risposta alle numerose questioni. Nel mondo cangiante, il clima ricopre il ruolo determinante che riguarda i singoli uomini e la loro società. Con una battuta si potrebbe ricordare che per definire una situazione di buone relazioni tra le persone, si usa dire “c’è una bella atmosfera”; “c’è un buon clima”. E dunque occorre intervenire subito, prima che si ghiaccino le parole.