Paolo Desogus / Divina mimesi, umana contraddizione

Il Gramsci di Pasolini. Lingua, letteratura e ideologia, cura Paolo Desogus, Marsilio, pp. 276, euro 24,00 stampa

A sessantacinque anni dall’uscita delle Ceneri di Gramsci di Pier Paolo Pasolini, si potrebbe presumere che tutto sia stato detto e scritto di questo nesso così importante nella storia culturale del Novecento e, in caso contrario, che quello che non sia stato ancora detto sia comunque, inesauribilmente, fruibile nei versi più famosi dell’opera: “Lo scandalo del contraddirmi, dell’essere / con te e contro te; con te nel cuore, / in luce, contro te nelle buie viscere”. C’è ovviamente qualcosa di vero, in quest’ultima affermazione, ma i territori inesplorati restano comunque molti, e parecchio importanti.

Uno scandaglio prezioso arriva ora con il volume curato da Paolo Desogus – docente alla Sorbona e già autore di Laboratorio Pasolini (Quodlibet, 2018) – e frutto del convegno tenutosi al Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa della Delizia nel novembre 2021. L’antologia di saggi contiene una pluralità di approcci a un rapporto che si può definire – come giustamente riporta Desogus nel titolo della propria introduzione – una “ostinata fedeltà”, rintracciabile sin dagli esordi di Pasolini e vigente fino al 1975. In questa prospettiva, le Ceneri restano forse lo snodo cruciale, affacciandosi con forza altri due aspetti: il lavoro che, dai primi anni Sessanta in poi, porterà alla sua prima opera postuma, La Divina Mimesis (1975), nonché il suo interesse per la poesia popolare, la cui durata e portata strutturale nell’opera pasoliniana confermano anch’esse la qualità “laboratoriale” (per riprendere di nuovo il titolo della precedente monografia di Desogus) del suo lavoro.

In questo senso, i due interventi della prima sezione, intitolata “Contesto”, forniscono una precisa e dettagliata ricostruzione delle edizioni dell’opera gramsciana tra 1945 e 1975 e, in stretta correlazione, delle letture pasoliniane (a firma di Francesco Giasi); correlazione che, tuttavia, non può che rifuggire quella linearità resa impossibile dalla stratificazione del dibattito marxista italiano, dagli anni Cinquanta in poi (sottolineata da Angelo D’Orsi). Di questi interventi, insieme all’introduzione, pare opportuno rilevare proprio la cura per il dettaglio, che sfiora i territori della filologia – in un doppio interessante rispetto al riferimento doppio a Gramsci e Contini operato da Pasolini della Divina Mimesis – allo scopo di restituire un quadro d’insieme il più possibile puntuale e ricco. Un obiettivo raggiunto, ad esempio, dai recenti studi (al momento perlopiù pubblicati in rivista) di Desogus sul rapporto tra Pasolini e un’altra e fondamentale figura (per i molti temi del Gramsci pasoliniano) come Ernesto De Martino.

“Lingua e popolo” è, del resto, l’oggetto della seconda e più nutrita sezione, aperta da un saggio di Stefano Gensini che rintraccia opportunamente la cogenza delle “questioni linguistiche” che appassionano, in modi diversi, Gramsci e Pasolini dagli esordi fino alla polemica tra Pasolini e Umberto Eco rispetto ai valori e alle potenzialità della semiologia nell’approccio scientifico ai fenomeni culturali. L’opposizione, per Pasolini senza dubbio lacerante, tra la “squisitezza” (altro lemma continiano) che attiene al “decadentismo” delle classi dominanti e il “nazionale-popolare” gramsciano è ben tratteggiata da Gian Luca Picconi; questo prepara un terreno fertile tanto per la successiva discussione dell’interesse pasoliniano per la poesia popolare, brillantemente condotta da Marco Gatto, quanto per la densa e compatta rivisitazione di Lea Durante dei significati che può assumere il “realismo” – in certa narrativa pasoliniana, in particolare – per un autore che rimane, allo stesso tempo, “ostinatamente fedele” a Gramsci. Una simile densità è da rintracciare anche nel contributo di Pasquale Voza, ripreso da un articolo già pubblicato dall’autore nel 2015, secondo un dato che già di per sé denota i motivi e le qualità della rinnovata importanza del nesso Gramsci-Pasolini nella pubblicistica degli ultimi anni.

Rilevanza che si profila anche come rilevanza letteraria all’interno della penultima sezione, intitolata “Gramsci nella poetica di Pasolini”, dove La Divina Mimesis, nei contributi di Silvia de Laude e Michela Mastrodonato, torna a indicare come il nesso Gramsci-Pasolini non sia soltanto un sintomo del dibattito culturale italiano di area marxista, dagli anni Cinquanta in poi, ma abbia a che fare con la strutturazione stessa del canone letterario italiano e il suo tradizionale centro: l’opera di Dante Alighieri. Chiude la sezione un intervento di Maura Locantore che, opportunamente, ricorda invece una delle tante discontinuità nel rapporto tra Gramsci e Pasolini, lontana, questa volta, dalle sovrastrutture culturali più sofisticate e “più consonante con l’indole dell’ispirazione pasoliniana” – secondo una terminologia, dunque, che talvolta può apparire, ma che qui pare indovinata – ovvero “passione e amore seriamente carnali” per un “uomo umiliato e offeso” da quella Storia che pure ha tentato di decrittare. L’altra faccia, si potrebbe dire, della “squisitezza” che Pasolini avrebbe voluto scrollarsi di dosso, sentendo talvolta di non riuscirsi, e, di conseguenza, anche la conferma che si ha ancora a che fare con “il Gramsci di Pasolini”, come riportato nel titolo del libro, ovvero con una particolare e magmatica appropriazione (e non con una relazione puramente dialettica) che non di rado attrae verso il proprio campo anche lo sguardo critico.

Dulcis in fundo, un contributo peculiare e molto prezioso di questa antologia di saggi, rispetto a molta pubblicistica accademica, o comunque di ambito “pasoliniano”, è l’ultima sezione, affidata ai poeti Gianni D’Elia e Andrea Gibellini, voci autorevoli e appassionate nella rilettura di un’opera che – al di là dei molti piccoli e transitori omaggi che hanno costellato quest’anno di celebrazioni pasoliniane che si avvia alla conclusione – proprio nella sua vertente gramsciana, più che in quella semplicisticamente (ed erroneamente) definita “civile”, non sembra aver prodotto una duratura tradizione nel campo della poesia italiana successiva. E proprio nei “Fotogrammi per Pasolini” di Andrea Gibellini si trova uno spunto, che è molto più che metodologico, per rinnovare l’attenzione verso il nesso Gramsci-Pasolini in modo ancora fecondo e forse anche radicale, con un inaspettato ritorno, in questo contesto, di Walter Benjamin: “Provo a incanalare questo suo oceano”, scrive Gibellini, “[…] cercando visivamente per fotogrammi e per immagini, di scoprire, spero per immagini dialettiche non disunite e frammentarie, uno spazio di luce per poter ancora dire”. Immagini dialettiche, dunque, che accompagnino questa particolare vitalità critica con un’assunzione di responsabilità poetica che sia finalmente capace di offrirci un’altra prospettiva su quello che, dopo Pasolini e già forse anche in Pasolini, è stato oggetto di “divina mimesi”, forse, ma soprattutto di umana contraddizione.