Chi ama la montagna legge Paolo Cognetti. Lo scrittore milanese, forte della pubblicazione di diversi libri d’ambiente montanaro (alpino ma non solo), dopo aver toccato l’apice del successo vincendo il premio Strega nel 2017 con Le otto montagne, ormai è da considerarsi l‘erede contemporaneo di Rigoni Stern. Nei suoi lavori si afferma progressivamente sempre più forte la dimensione della montagna come alternativa alla vita borghese (e decadente) della città. Molti dei suoi protagonisti non nascono tra valli, fiumi e boschi. Sono cittadini, spesso giovani, che cercano una soluzione al loro disagio.
Cognetti non fatica molto a trovare la giusta collocazione dei personaggi e, in definitiva, della sua: si tiene distante, anche se con rispetto, dai turisti estivi e invernali che trascorrono pochi giorni tra le montagne per sciare, passeggiare, per poi tornarsene a casa. Al tempo stesso, è consapevole della distanza che corre ancora tra la sua condizione di cittadino “esule” e i pochi abitanti che vivono in montagna. Con costoro si misura, molto discretamente cerca un dialogo, si adegua alle loro abitudini. Per Cognetti la montagna non è occasione di performance sportive o ginniche, ma costituisce una forte proposta interiore di vita e di nuova qualità nelle relazioni umane. In questo ultimo libro egli va direttamente al punto. L’oggetto della sua narrazione non è più soltanto la bellezza dei paesaggi, o il rapporto tra natura e “civiltà”, ma le persone e il raggiungimento della loro felicità.
Fausto Dalmasso è il protagonista di questa storia. Ha quarant’anni, scrive e per vivere in montagna si ingegna a lavorare come cuoco in un rifugio alpino a Fontana Fredda, sul Monte Rosa. Per alcuni aspetti, Fausto è l’alter ego del suo autore: per l’età, per l’attività di scrittore, e per una serie di tormenti che abitano la sua esistenza. Inoltre Fausto è in forte difficoltà con la moglie Veronica, da cui si separerà nel corso della storia, e progressivamente trova nella montagna e nella sua gente l’inizio di un percorso per una vita che non può non cambiare. Due donne e un uomo maturo fanno da compagnia all’esperienza di Fausto. Babette è la proprietaria del ristorante dove Fausto lavora, Silvia è la cameriera di cui Fausto si innamorerà, ricambiato.
La forza della narrazione di Cognetti sta anche nella capacità di raccontare quello che accade con una naturalezza sorprendente. Tutte le vicende potrebbero capitare su qualsiasi altra montagna o addirittura in città. Le difficoltà, gli entusiasmi, le speranze e le delusioni sono quelle di tutti gli uomini e di tutte le donne del mondo. Sembra una banalità, ma non è così, perché con le premesse esistenziali che l’autore mette in campo, affidandole ai suoi personaggi, ci si potrebbe aspettare una gran quantità di retorica, suggestioni paesaggistiche degne di un’agenzia turistica, facili entusiasmi e molto altro.
Cognetti, che ha una buona dimestichezza con la cultura e le pratiche zen, esercita una saggia distanza dalla facile utopia che tende ad affidare ai luoghi la soluzione per la ricerca della felicità. In questo lo aiuta a riflettere il comportamento nomade del lupo che, anche quando raggiunge un territorio ricco di selvaggina, dopo un po’ di tempo va via per raggiungere altre mete. Il lupo cerca incessantemente la felicità, senza mai accontentarsi di averla trovata.
Le montagne, quello che potrebbero essere solo un “mucchio di sassi”, di volta in volta assumono un valore e un significato diverso a seconda della presenza o della distanza e a seconda della condizione interiore della persona che le guarda e che le abita. I personaggi di quest’ultima storia di Cognetti ci offrono interpretazioni diverse della montagna. Ognuna con la propria strada, Silvia e Babette vivono la montagna come un periodo transitorio, Fausto e Santorso invece sono come alberi, felici con quello che hanno. Nel percorso formativo che caratterizza La felicità del lupo, Cognetti riserva un posto a citazioni di alcuni grandi amanti della montagna come Rigoni Stern, di cui ricorda la ricetta delle “patate alla Mario”, e Hokusai, pittore e incisore di splendide riproduzioni del monte Fuji. Insieme a loro, altri protagonisti naturali come il rifugio Quintino Sella, i ghiacciai del Felix e del Gorner. Tutto riporta al senso ultimo delle cose, ribaltando in molti casi le gerarchie dell’inizio. Con un forte spirito laico, Cognetti accetta i sogni e le aspirazioni, ma riporta tutto alla concretezza del vivere. Fausto, lo scrittore-chef, presto si rende conto che “c’è sempre bisogno di qualcuno che faccia da mangiare; di qualcuno che scriva, non sempre”.