Come Kafka e Kundera, anche Pablo D’Ors è uno scrittore con la K, nonostante il cognome sembri superficialmente indicare qualcosa di diverso. Lo si capisce benissimo, invece, leggendo Contro la gioventù, magnifico romanzo tradotto da Alessandro Gianetti per l’ormai consolidata collana Xaimaca di Arkadia, dedicata alle letterature della Spagna e delle Americhe. In effetti, vari elementi del testo rimandano a questa K, in un modo che è spesso esplicito ai limiti del didascalico: dalle numerosi epigrafi ai richiami insistiti all’interno del testo, Kafka e Kundera assurgono, almeno inizialmente, a numi tutelari del romanzo; lo sono anche per il protagonista, Eugen Salmann, emigrato dalla Germania a Praga con il progetto di dare avvio alla propria carriera letteraria, imitando quella deterritorializzazione linguistica e culturale già canonizzata, via Deleuze, nel caso di Kafka; il romanzo, poi, è costellato di altri personaggi il cui nome inizia con questa lettera. Tuttavia, non comincia con la K proprio il nome del protagonista, segnalando così che l’assunzione di questa storia letteraria non può essere soltanto indicale, ma arriva, nei suoi gangli più profondi, a determinare la nascita di nuova letteratura, fecondandone i temi e lo stile, ma lasciando aperta la porta per nuove elaborazioni.
Nel caso del romanzo di D’Ors – già noto in Italia per la meditazione spirituale dal titolo Biografia del silenzio (Vita & Pensiero, 2014) e ancora prima per le Avventure dello stampatore Zollinger (disponibile, dal 2010, per le edizioni Quodlibet) – il nome del protagonista resta indicativo di questa torsione verso nuovi orizzonti: Eugen Salmann, infatti, non può che rinviare a Elmar Salmann, teologo e monaco benedettino che è stato punto di riferimento spirituale e culturale di elezione per l’autore, oggi professore di Drammaturgia e Teologia presso la sede di Madrid dell’Università Pontificia di Salamanca.
Chi si aspetti, da queste poche righe di introduzione, un’autobiografia dell’autore en travesti, o anche un’appropriazione dottrinaria di una tradizione letteraria del Novecento europeo chiaramente “a-teologica”, resterà deluso e, in modo certamente maieutico, deluso della propria delusione: Contro la gioventù è un “romanzo-romanzo” dalla vena narrativa chiara e, ci si passi il termine, “affidabile”, in quanto ancorata alla presenza di particolari che tendono continuamente verso una loro universalizzazione. Un “romanzo-romanzo”, dunque, in senso classico: lo segnalano in modo sintomatico i riassunti di ciascuna sua parte, posti in apertura dei quattro atti che compongono il testo; più che una “drammaturgia narrativa”, come il termine “atto” e anche le iniziali “Dramatis personae” (con l’elenco dei personaggi) e “Scenografie” (con il censimento dei luoghi della narrazione), potrebbero suggerire, è infatti la scrittura romanzesca di un classico, per quanto aggiornato, romanzo di formazione a prendere via via il sopravvento. Anche quando l’ultimo “Atto” si presenta formalmente come una lettera di Eugen Salmann alla bibliotecaria Dinorah, l’impianto del romanzo di formazione non viene mai meno, come si evince dal doppio titolo di quest’ultima sezione: “Imparare dal fallimento” e “Nuovo punto di partenza”. Si conclude qui, almeno provvisoriamente, un itinerario narrativo che è anche percorso di formazione (per quanto l’individuazione classica, quasi dantesca, del trentacinquesimo anno raggiunto da Salmann come il “mezzo del cammin di nostra vita”, appena fuori dalla gioventù, si riveli più come il frutto di una convenzione che non come un qualche forma di rispecchiamento della società), iniziato con l’arrivo di Salmann a Praga e proseguito con la sostituzione delle sue iniziali aspirazioni letterarie e culturali con la dimensione dell’avventura erotico-sessuale.
A questo proposito, accompagnando il personaggio nelle sue varie relazioni sessuali e poi affettive (in un paio di casi, con donne nel cui nome o cognome compare la lettera K, a confermare una rifrazione continua della soggettività e insieme del suo immaginario), la narrazione registra una certa persistenza di uno sguardo vagamente moralista che potrebbe essere imputato all’istanza autoriale e che si risolve, soprattutto, nella messa a nudo del narcisismo, talvolta feroce, del giovane Salmann. Tuttavia, questo esercizio di moralismo non è mai soverchiante, e ben si compenetra con la seconda parte del libro, nel quale le molteplici digressioni a sfondo erotico-sessuale del percorso del personaggio si incanalano progressivamente verso incontri diversamente misteriosi e, par di capire, più totalizzanti, prima con la mistica di un affascinante teologo praghese e poi con il silenzio – eccolo, di nuovo, dopo Biografia del silenzio – della biblioteca.
Senza mai esplicitarlo in modo troppo lineare, Salmann capisce che l’esperienza, specie se continuamente deviata dal proprio inguaribile narcisismo, non è l’ingrediente unico né supremo della scrittura letteraria, e che la “scoperta di una delle leggi principali della creazione letteraria” è “che i libri nascono dai libri”. Non solo Kafka e Kundera, tra l’altro, ma un mondo che sconfina spesso dalla parola al silenzio, e viceversa, per trarne vigore.
Così funziona anche la scrittura di D’Ors, resa in modo assai godibile nella puntualissima traduzione di Gianetti, facendosi veicolo di una narrazione che è sì Contro la gioventù, ma che di questo periodo di “esperimenti ed errori” non dà mai giudizi definitivi, lasciandosi aperta al cambiamento. Cambiamento che giungerà anche per lo stesso Salmann, lasciando in chi legge la convinzione che questo percorso (che può essere almeno generalizzato, se non anche universalizzato in virtù della finzione romanzesca) porta esperimenti ed errori anche all’interno della vita adulta, trasformandoli, appunto, in un esercizio d’apertura e di ascolto – magari spirituale, certamente letterario.