La guerra seguita all’invasione russa dell’Ucraina è ormai in atto da quindici mesi, e non se ne intravede la fine. Un cruento conflitto sul suolo di quell’Europa che credevamo ormai immune agli eventi bellici, che ha sconvolto le coscienze, sollevato interrogativi dalle risposte non semplici, spesso inquinate da propagande di parte, da interessi corporativi e programmatiche scelte politiche. Tra le tante indeterminatezze, resta una certezza: per comprendere ciò che sta accadendo bisogna indagare a fondo la millenaria storia dei Paesi che vi sono coinvolti, la Russia e l’Ucraina.
Gioverà allora il ponderoso studio di Orlando Figes, studioso britannico di storia e cultura russe, che si profila sicuramente come una pietra miliare. Con l’ausilio anche di mappe e referenze iconografiche, di un nutrito apparato di note che rende conto dei lavori di studiosi russi e della storiografia occidentale, l’autore parte dalle lontane origini dei regni fondati più di un millennio fa nelle zone che poi diedero vita agli stati odierni, che trovano una comune origine nel gran principe Vladimir, sovrano della Rus’ di Kiev, considerata dal regime di Putin come “il primo Stato russo”, risalente al 980 d. C. Appropriazione condannata dagli ucraini: per loro la statua che ritrae il principe era diventata, dopo il collasso dell’Unione Sovietica nel 1991, simbolo dell’indipendenza dalla Russia.
Sin da queste note introduttive appare chiaro che il conflitto tra i due Paesi si combatte anche sul piano della riscrittura della storia, su revisionismi e inclusioni/esclusioni dettati da scelte politiche, ma anche da una profonda cesura culturale e sociale: non semplice disputa storica, ma miti fondativi incompatibili. “In Russia, la storia è politica” chiosa con epigrammatica sintesi l’autore. Nessun Paese ha reinventato il proprio passato così spesso, “nessuno ha una storia tanto soggetta alle vicissitudini delle ideologie dominanti”.
Affrontare un simile scenario non è agevole neanche per uno storico di vaglia. Figes riesce a evitare appiattimenti e semplificazioni, a districarsi nelle controversie fra occidentalisti e slavofili che hanno a lungo dominato la vita intellettuale russa. L’autore rintraccia una serie di temi ricorrenti, che riflettono le continuità strutturali della storia russa: fattori geografici, sistemi di credenze, modelli di governo, idee politiche e costumi sociali. In particolare, lo studio indaga la natura del potere statale, che sin dalle sue origini si è evoluto come un’autocrazia patrimoniale o personale, dunque in maniera molto diversa rispetto agli Stati occidentali.
Lo studioso impiega anche strumenti non meramente storiografici, come l’archeologia, l’analisi di miti e leggende. La scrittura della storia in Russia è stata infatti sin dalle prime cronache medievali intessuta di idee mitiche, quali la “Santa Russia”, l’“anima russa”, Mosca come “Terza Roma”. Miti divenuti fondamentali per l’interpretazione da parte dei russi della loro storia e del loro carattere nazionale, che hanno spesso “orientato – e fuorviato – le politiche e gli atteggiamenti occidentali nei confronti della Russia”. Dunque, per comprendere la Russia contemporanea bisogna anche analizzare queste pervasive mitologie, “spiegarne lo sviluppo storico e studiare come hanno informato le azioni e l’identità del Paese”. La loro persistenza “spiega gran parte della storia russa”, i suoi elementi caratteristici: la durevole forza della fede ortodossa, la sacralizzazione dell’autorità dello zar e la ricerca di uno zar Santo in grado di liberare il popolo dall’ingiustizia, la persistenza di un’utopia rivoluzionaria. Tali idee di verità e giustizia sarebbero poi state alla base della rivoluzione russa del 1917, nella quale il mito del santo zar avrebbe dato origine al culto dei capi, Lenin e Stalin. Ancora oggi, il regime di Putin attinge a tale archetipo monarchico di governo, “fornendo un’apparenza di stabilità basata sulle ‘tradizioni russe’”.
Emerge così la tesi di fondo di questa ricerca: la Russia è un Paese unito da idee radicate nel suo lontano passato, da narrazioni storiche continuamente riplasmate e riadattate per adeguarle alle esigenze dei nuovi tempi. In definitiva, il modo in cui i russi hanno raccontato la loro vicenda, e l’hanno reinventata nel corso del tempo, è un aspetto cruciale della loro storia.
Nell’ultimo capitolo ci si sofferma sugli eventi successivi al 1991, quando si venne a creare per la scellerata politica di Eltsin e dei suoi accoliti “una nuova classe boiarda di oligarchi” che si appropriarono delle immense risorse dello Stato, divenendo di fatto i detentori del potere reale. Fu in quel contesto che Putin divenne presidente, grazie alle manovre dell’FSB, l’ex KGB, e lo studio si conclude con l’analisi delle sue politiche interne ed estere, per soffermarsi in particolare sul suo rapporto con l’Ucraina. Sono pagine di ammirevole sintesi, dove si denuncia l’imperialismo sistematico del tiranno russo, ma anche le connivenze affaristiche e l’ipocrisia delle politiche degli Stati occidentali. L’autore non manca di rilevare l’insufficiente conoscenza della storia del Paese da parte degli analisti occidentali, che non paiono in grado di descrivere un sistema estremamente complesso, “che non può essere spiegato dalla disonesta ricerca di ricchezza personale o dalle macchinazioni di un solo uomo e del suo entourage oligarchico”.
In definitiva, quella in atto tra Russia e Ucraina è “una guerra non necessaria”, originata da miti e dalla lettura distorta che Putin fa della storia nazionale, un conflitto che oltre a impoverire e isolare la Russia, rischia di distruggere il meglio di una cultura e una società che “hanno arricchito l’Europa per mille anni”. Un futuro incerto, come quello di noi tutti: comprendere a fondo le dinamiche che hanno determinato il nostro presente diviene un imperativo ineludibile.