Con i due volumi pubblicati da Hypnos Edizioni nel 2016 (Il volto dipinto) e nel gennaio del 2024 (La bella incantatrice), possiamo dire di avere a disposizione in italiano tutte le principali ghost stories del prolifico scrittore britannico Oliver Onions (1873-1961). Avviato in gioventù, nel periodo della guerra Anglo-Boera, alla carriera di illustratore di poster, libri e riviste, passò negli anni immediatamente seguenti a scrivere narrativa (le prime edizioni dei suoi volumi hanno ancora copertine a colori e illustrazioni interne di sua mano), dedicandosi ai generi più diversi – romanzi storici, polizieschi alla Conan Doyle, fantascienza alla Wells, fantasy non epica – e raggiungendo un certo successo soprattutto nei decenni tra le due guerre mondiali. Di tutta questa ingente produzione poco resta a tutt’oggi e il nome dello scrittore è ormai confinato unicamente al dominio delle short-stories di argomento soprannaturale. Campo però del quale viene ancora considerato uno dei maggiori esponenti grazie soprattutto alla raccolta del 1911, Widdershins, che contiene la sua novella più nota e apprezzata, The Beckoning Fair One, – La bella incantatrice, appunto – stimata dai maggiori esponenti del genere, autori classici fra cui Algernon Blackwood o Robert Aickman, come uno dei più notevoli esempi di horror psicologico mai scritto in lingua inglese.
Non stupisce invece che H.P. Lovecraft ostentasse una quasi totale indifferenza verso Onions, le cui storie sono infatti troppo rarefatte, lente, atmosfericamente soffuse, talvolta intramezzate da digressioni romantiche – spesso infarcite di dialoghi piuttosto melensi, è il caso ad esempio de La porta di palissandro – per non infastidire il collega americano, interessato solo ai fenomeni e non ai personaggi. Uno stile elegante e un procedere anticlimatico che anche alcuni lettori contemporanei troveranno particolarmente avvincenti e sofisticati, mentre altri invece decisamente datati e noiosi. L’orrore, che pure è presente, mai viene ostentato ed è di solito lasciato fuori campo – altro particolare che potrebbe aver disturbato HPL – e il soprannaturale, mai del tutto dichiarato, resta in gran parte dei casi profondamente ambiguo.
La bella incantatrice, ad esempio, appare in superficie come una storia convenzionale ambientata nella tipica casa infestata, ma rivela invece il disgregarsi progressivo di una personalità creativa – quella di uno scrittore senza successo – che, abbandonata all’isolamento e all’immaginazione morbosa, si autodistrugge ponendo fine contemporaneamente alla propria arte, alla propria sanità mentale e alla vita di una persona cara. Vi si può leggere contemporaneamente la possessione graduale del protagonista da parte di un geloso e possessivo spirito femminile, mai rivelato, che abita la vecchia casa vuota dove lo scrittore si è ritirato, o la descrizione realistica, raccontata dal punto di vista di chi la sta vivendo, di una crisi psicotica culminante nella catatonia e nell’omicidio: in entrambi i casi l’effetto della connessione fra creatività e pazzia è del tutto terrorizzante. Il racconto ispirò il film Un tranquillo posto di campagna, girato nel 1968 da Elio Petri e interpretato da Franco Nero e Vanessa Redgrave. A questo proposito, è davvero curiosa la relazione tra lo scrittore inglese e il cinema italiano degli anni ’70: gli arrangiatori e autori di colonne sonore cinematografiche Guido e Maurizio De Angelis (quelli di Sandokan e dei film di Terence Hill e Bud Spencer, per intenderci) infatti, battezzarono in suo onore il loro gruppo musicale proprio col nome di Oliver Onions.
Anche la altre storie delle due raccolte offrono spunti originali muovendosi con estrema libertà – data proprio da una sistematica non aderenza ai canoni tipici – all’interno dei tòpoi tematici del genere: in Il volto dipinto si parla di reincarnazione; in Il padrone di casa di licantropia e magia nera indiana; Rooum racconta di un ingegnere perseguitato da una misteriosa entità che lo segue costantemente (chi ha visto il film It Follows potrà trovarvi qualche lontana analogia); ancora ghost stories centrate sul fluttuare del tempo storico e dell’identità individuale La porta di palissandro e La corda tra le travi: la prima forse troppo incline alla deriva “rosa” del sentimentale e del melodrammatico – per quanto disilluso a tradimento nel finale – perfetta invece la seconda con un indimenticabile protagonista: un reduce britannico dalle trincee della Prima Guerra mondiale, rimasto guercio e col volto orribilmente sfigurato, che si rintana lontano da casa, fantasma tra i fantasmi, in un vecchio castello francese dove nessuno dei suoi conoscenti possa più vederlo: “Su quale piano si manifestano, e a chi ? – si chiederà dopo i suoi primi agghiaccianti contatti notturni con un’inspiegabile presenza che condivide con lui la solitudine della dimora – Certamente a qualcuno che incontrano sullo stesso piano. Quindi prendiamo un uomo come me, né una cosa né l’altra. Io sono, si potrebbe dire, o morte riscaldata, o vita raffreddata. In questo caso c’è solo un margine di differenza tra lui, a malapena morto, e me, a malapena vivo. Lui è tanto uomo quanto me, io tanto spettro quanto lui”. Un vero e proprio assunto programmatico per Onions, come confessa nel Credo, l’introduzione alle sue Collected Ghost Stories del 1935, scelta anche da Hypnos per introdurre il primo dei due volumi a lui dedicati: “Per una qualche coazione, io stesso potrei essere un fantasma, e anche voi […] sarà forse un fantasma a scrivere di noi? Chi sono le Persone Reali?”