Nel seguito del viaggio, mi resi conto che le donne, nel cammino, erano sistematicamente divise per ogni gruppo – evidentemente, servivano da moneta di scambio con i poliziotti, i militari, i doganieri…
Colpisce nel memoir di Emmanuel Mbolela (ma il libro, uscito in Germania qualche anno fa e ora tradotto in italiano da Agenzia X, è molto di più di un semplice resoconto di viaggio) il grande posto riservato alle donne. Esse sono certo le prime vittime dei viaggi dei migranti, abusate in ogni passaggio di frontiera così come nei ghettoes che si formano nei pressi dei confini, oggetto di lotte fra bande e a volte violentate dagli stessi connazionali, ma sono anche le più determinate e radicali: pronte alla solidarietà auto-organizzata e alle lotte per i diritti dei migranti.
Il racconto di Emmanuel Mbolela, (fuggito nel 2002 dalla Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire per sottrarsi alle persecuzioni politiche, e arrivato nel 2008 in Olanda dove è stato riconosciuto come rifugiato politico) si differenzia da altri racconti della migrazione – altrettanto tragici – per la lucidità politica con cui individua le cause prime della migrazione e la necessità dei migranti di organizzarsi collettivamente in prima persona.
In una recente intervista Mbolela afferma che i migranti non hanno aperto “vie nuove”, ma semplicemente ripercorrono al contrario quelle aperte a suo tempo dall’Europa per penetrare in Africa: sono le vie degli antichi imperi coloniali, le politiche del Fondo Monetario Internazionale e la geopolitica delle multinazionali che ancora determinano il destino di quei Paesi e con la destabilizzazione dei Paesi africani fanno i loro guadagni. Le fabbriche di armi che guadagnano sui conflitti “tra africani” non sono certo in Africa. Queste sono le cause prime della migrazione che l’Europa non vuole vedere.
Quando Mbolela – dopo un viaggio massacrante – arriva in Marocco dove rimarrà per 4 anni, ben presto si accorge che il Paese Nord Africano funziona come frontiera esterna dell’Europa e che l’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ) più che difendere i diritti dei migranti (come da mandato ONU) esercita la gestione dell’esternalizzazione delle frontiere e il controllo dei flussi di persone per conto dell’Europa, dalla quale riceve cospicui finanziamenti. Così come in Turchia, in Libia… ma anche in Bosnia dove in questi mesi sono bloccati i migranti della “nuova rotta Balcanica”, picchiati e rimandati indietro dalla polizia croata, per conto della democratica Europa, ogni volta che tentano di attraversare la frontiera. Mbolela lo dice chiaro:
Quando più tardi cominciai a lottare in Marocco contro questi atti, scoprii che il trattamento disumano di cui noi subsahariani eravamo vittime nei paesi del Magreb, era stato fortemente incoraggiato dall’esternalizzazione della gestione dei flussi migratori, come dicevano gli euro-burocrati.
Lo status di richiedente asilo rilasciato dall’UNHCR non vale nulla in Marocco, puoi essere in continuazione rastrellato dalla polizia, rimandato indietro e abbandonato senza tanti complimenti nella trappola del deserto, non hai la possibilità di lavorare o di accedere ai servizi minimi sanitari, i bambini non possono andare a scuola, gli uomini si devono arrangiare col lavoro nero, le donne sono consegnate alla prostituzione, non puoi affittare una casa…
(Per inciso il Decreto Immigrazione – Sicurezza appena diventato legge in Italia con la norma che impedisce alle amministrazioni comunali l’iscrizione dei richiedenti asilo all’anagrafe va ad incidere proprio su questo fondamentale diritto – il diritto all’iscrizione anagrafica – gettando i migranti nella totale insicurezza e impossibilità di costruirsi una vita normale: senza carta di identità non puoi iscriverti a un corso di formazione, andare in una agenzia per cercare lavoro, e giù a cascata…).
Effetto “collaterale” della mancanza dei diritti fondamentali è il razzismo che si sviluppa contro chi mancando di documenti è di fatto inesistente e viene visto come un “pericoloso fuorilegge”. Ben lo sperimenta Mbolela sulla sua pelle in Marocco, dove finanche i bambini si sentivano liberi di insultare i migranti.
In questa situazione Mbolela insieme ad altri rifugiati e facendo leva su un istituto informale molto interessante di autorganizzazione dei migranti – vale a dire le “chiese dal basso” che si costituiscono intorno a figure che durante il viaggio si sono distinte per solidarietà e coraggio e che ne diventano i pastori (Man of God) – organizza l’ARCOM (Associazione dei Rifugiati Congolesi) che, oltre a far pressione sulle ONG e l’UNHCR per avere i documenti e quindi l’accesso a diritti come il lavoro o la scuola elementare per i bambini, si è battuta contro la deportazione dal Marocco degli africani subsahariani tutelati – solo a parole – dallo status di richiedenti asilo.
Non siamo criminali, come ci vuole rappresentare nella vulgata razzista, ma non siamo neanche delle semplici vittime, siamo dei soggetti che in prima persona prendono in mano il proprio destino – insegna Mbolela – che da ultimo dice una cosa semplice, ma che nessuno oggi riconosce ai migranti: si scappa dalle guerre, si scappa dalla miseria economica, si scappa dagli effetti indotti dai cambiamenti climatici, ma si esercita anche il desiderio fondamentale – che appartiene da sempre a ogni essere vivente – di voler vedere e stare in luoghi nuovi e che non si conoscono. Un desiderio questo che solo i turisti e il ceto cosmopolita sembra abbiano il diritto di esercitare.