La scomparsa del fisico teorico Ettore Majorana, avvenuta probabilmente il 26 marzo 1938 tra Napoli e Palermo, è sempre stata fonte di attrazione per gli scrittori: da Leonardo Sciascia a Pierfrancesco Prosperi, da Wu Ming 1 a Alberto Odone, in un certo senso, è lo stesso effetto di quei delitti irrisolti che da Jack lo Squartatore a oggi hanno stimolato la fantasia di lettori e autori. È una vecchia ossessione della letteratura, specialmente del giallo d’indagine, tentare di spiegare con la fiction ciò che la cronaca non ha mai risolto – una tentazione irresistibile, una tensione verso la ricomposizione dell’ordine che mai è venuta meno, neppure dopo il postmoderno.
Naturalmente, il fascino di questo evento in particolare si avvolge intorno alla domanda: “perché Majorana decise di scomparire?” Ettore Majorana faceva parte dei “ragazzi di via Panisperna”, il gruppo di fisici guidato da Enrico Fermi che prima e dopo la Seconda Guerra mondiale lavorò alla realizzazione del primo reattore nucleare e poi si disperse nel mondo; Pontecorvo andò in URSS, Rasetti in Canada, Fermi partecipò anche alla costruzione della bomba atomica americana.
Tra le varie ricostruzioni letterarie, la più fortunata è quella che vede Majorana in crisi personale, oltre che per questioni caratteriali e private, anche per la possibilità di essere costretto a partecipare allo sforzo bellico dell’Asse: la costruzione della bomba definitiva, l’atomica, che sarebbe stata resa possibile anche dagli studi sui neutroni lenti del Regio Istituto di Fisica dell’università di Roma. Dopo un viaggio in Germania e un’iniziale fascinazione per la “rivoluzione” nazista, a proposito della quale Majorana scrisse di “necessità storica” in una lettera alla madre, non è dato sapere se abbia cambiato opinione una volta approvate le leggi razziali: il suo collega Segrè era ebreo, così come la moglie di Fermi.
L’ipotesi di questo romanzo breve di Nino Martino, è che il fisico abbia deciso di far perdere le proprie tracce in odio all’ideologia nazionalsocialista. Il testo appare come sesto numero della giovane collana “Ritratti” di Watson edizioni, che raccoglie episodi romanzati tratti dalla biografia di personaggi storici; è pensata per avvicinare lettori giovani e adulti alla Storia – anche attraverso personalità studiate sui libri di scuola – e intrattenerli con racconti originali che si affacciano su diversi generi letterari: dal noir alla fantascienza, dall’horror allo steampunk. Finora sono apparsi Annibale, Cesare Lombroso, Louise Brooks, Rasputin, Verlaine e Van Gogh.
Il testo di Nino Martino è una storia compatta e ben costruita, che non affronta soltanto le motivazioni politiche del gesto del protagonista; è anzi dai frequenti scambi con gli abitanti dell’isola di Salina, dove Martino lo fa approdare sotto falso nome, che Majorana apprende il significato degli eventi che hanno caratterizzato la sua vita precedente. La sua decisione di fuggire dal mondo è infine confermata dalla dialettica di questo contesto sociale per lui sconosciuto, lontanissimo dalle preoccupazioni intellettuali che hanno guidato per anni il suo lavoro e la sua esistenza, astratta e privilegiata a confronto con il concreto e il contrastato dei pescatori e delle loro famiglie. È come se lo scienziato sollevasse l’occhio dal microscopio e si accorgesse della macro-realtà della natura, degli agenti atmosferici, della complessità degli esseri umani, che forse gli appare meno comprensibile delle particelle elementari.
Nino Martino è laureato in fisica; ha insegnato a Milano, Lipari e Cagliari e oggi vive in Sardegna. La sua storia editoriale è curiosa: ha esordito negli anni Sessanta sulle prime riviste italiane di fantascienza, poi ha diretto due riviste alle Università di Genova e Cagliari. Qualche anno fa, è tornato alla science-fiction con la casa editrice Delos Digital: il suo Errore di prospettiva ha riscontrato un ottimo successo di vendita.