Nino Haratischwili è una narratrice straordinaria. Se già con il precedente romanzo – L’ottava vita (per Brilka), Marsilio 2020, vincitore dell’English Pen Award – era riuscita a creare una storia famigliare solida e potente lunga un secolo, con questo si può affermare senza alcuna ombra di dubbio quanto l’autrice abbia una scrittura viscerale. È quel tipo di scrittura che accoglie i suoi lettori come un abbraccio e, quasi cullandoci, ci porta alla capitolazione finale – stremati, svuotati, come se avessimo vissuto la storia sulla nostra stessa pelle.
Siamo nel 2019. A Bruxelles è stata allestita una mostra fotografica per celebrare gli scatti di Dina Pirveli, artista georgiana scomparsa all’età di venticinque anni. In questo maestoso palazzo dove lo sguardo di Dina parla dal passato ormai remoto, arrivano tre donne – dagli sguardi si capisce che si conoscono, le si riconosce nelle tele appese alle pareti di quando avevano quattordici anni e saltando da uno scoglio nell’orto botanico di Tbilisi, si tengono per mano, non hanno paura di nulla e non sanno ancora tutto ciò che sta per capitare loro. Era il 1987 e queste donne erano solo delle ragazzine unite da una forte amicizia: Qeto Kipiani, Nene Koridze, Ira Jordania e Dina Pirveli.
La prima, grande protagonista che riconosciamo in La luce che manca è la Georgia, stato d’origine dell’autrice, e la sua capitale, nonché città di nascita di Haratischwili, Tbilisi. Chi si addentra per la prima volta nelle sue storie percepirà da subito questo legame indissolubile che la lega alla terra d’origine. Per chi torna assieme all’autrice in Georgia, si ricorderà immediatamente di come essa sia una protagonista palpitante e imprescindibile della narrativa dell’autrice. La Storia assume valore in funzione dei luoghi georgiani; i luoghi assumono significato solo quando si rapportano con i personaggi che li popolano; i personaggi sono talmente vivi che ci sembra di poterli toccare attraverso le pagine. È il 1987 e l’Unione Sovietica si sta pian piano sgretolando. La Georgia si prepara a diventare indipendente e ben presto lo diventerà, assistendo impotente a colpi di stato, spargimenti di sangue per le sue strade, mancanza di corrente elettrica, razionamento di cibo; e ancora, eroina, scontri tra bande rivali, lotte per l’indipendenza in Abkhazia, morte e devastazione per le vie di una Tbilisi che non sa come tornare a vedere la luce.
Qeto, Dina, Nene ed Ira abitano nel quartiere di Sololaki, nel cortile di vicolo delle Vigne, a Tbilisi. La loro amicizia nasce durante gli anni alle scuole elementari ed è un legame destinato a perdurare nel tempo, sopravvivendo a guerre, tradimenti e distruzione. Se in L’ottava vita la famiglia Jashi era il fulcro del romanzo, qui l’amicizia di queste quattro ragazze soppianta la figura della famiglia come protagonista principale – l’amicizia è la forza riparatrice e distruttrice al tempo stesso, è la forza salvifica, la forza vitale, il motore del romanzo. All’alba del giorno dopo la mostra, Qeto ripenserà a una foto scattata da Dina che ritrae loro tre inondate di luce, dal titolo “La luce che manca”. Forse Dina pensava fosse questo che mancava al mondo per come lo aveva conosciuto lei: la luce dell’amicizia.
Ira è una ragazza timida e introversa, con un cuore assetato di affetto, legata al rigore e alla disciplina – riuscirà a diventare un avvocato di successo negli Stati Uniti, dove poter anche vivere la sua omosessualità liberamente, dopo aver capito che Nene non l’avrebbe mai amata nel modo in cui lei sperava. Nene, invece, è uno spirito raggiante e sempre ottimista. Parte della famiglia simbolo della malavita di Tbilisi, dove non ha nessuna libertà di scelta, come una pedina passerà da un matrimonio combinato all’altro senza poter evadere, ma riuscendo a mantenere acceso il suo ottimismo. Dina è un fuoco che brucia; è la scelta del bene sopra tutto il male, sempre e comunque, perché “chiudere gli occhi è come morire”; è il bisogno di testimoniare con i suoi scatti l’orrore della guerra, ma anche il desiderio di essere anestetizzata di fronte a tanto dolore; è il bisogno di luce; è la ricerca di amore. Dina è figlia di Lika, una restauratrice con il sogno fallito di diventare una cantante, e un padre che non ha mai conosciuto. Dina è autentica, non scende a compromessi, non cambia per nessuno; affronta tutto a testa alta, risoluta, coinvolgendo nella sua forza anche chi le sta attorno.
La voce narrante di tutta la storia è Qeto. Cresciuta senza madre, in una casa con il padre, il fratello Rati e gli scontri tra le due nonne, Babuda Uno e Babuda Due, Qeto trova da subito in Dina una forza calamitante e il cardine saldo della sua esistenza. Quando l’orrore della guerra arriva a farsi sentire a Tbilisi e Qeto cerca di essere una forza collante per tenere assieme il suo mondo che sta andando in pezzi, non si rende conto che tutto questo suo sacrificarsi non riuscirà a salvare tutti. Più volte una via di fuga – e un’àncora di salvezza – le verrà offerta dal restauro, la sua materia di studio all’università, che la porterà lontana: Cachezia, Istanbul, poi sempre più lontano dalla Georgia. Qeto, imperterrita, sentirà sempre che l’amore che la lega a Tbilisi non può essere dimenticato così facilmente, essendo parte di lei e delle persone a lei care – cercherà sempre di voler salvare chi ama. Ma la morte più volte le busserà alla porta – finché un giorno di marzo 1998, un mese dopo aver perso il fratello Rati, salendo le scale fino allo studio di Dina, la troverà con il viso bluastro e il collo stretto attorno ad una fune.
Per tutto il romanzo la devastazione del paese trova vie per intrufolarsi nelle vite dei personaggi, i quali sentono incombere la violenza nelle loro vite come una forza predestinata, lottando contro la Storia, chiedendosi come poter uscire vivi da quell’epoca. La violenza del colpo di stato si trasforma nella violenza dilagante per le strade, dove Rati (il fratello di Qeto) e Zotne (il fratello di Nene) si sfidano al numero di morti collezionate, finendo vittime delle loro stesse azioni. La devastazione della guerra fa scegliere, un giorno, a Qeto e Dina se una vita vale più di cinquemila dollari – e il costo morale della scelta tra vita e morte che si insinua nelle loro vite, cambiandole irrimediabilmente.
Haratischwili ha scritto una storia commovente, feroce, cruda, umana, carica di luce nonostante le profonde ferite. Riesce a tenere sempre assieme tutti i molteplici personaggi che popolano la sua Tbilisi, dando a ciascuno di loro uno scopo e una direzione, senza mai perderli di vista. La sua mano crea una ragnatela di storie che si intrecciano in modi del tutto inaspettati. Alla fine arriverete anche voi a pensare a quanto Haratischwili sia una narratrice straordinariamente capace di raccontare l’animo umano, di scavare nei suoi personaggi, di ricostruire la storia di un paese dolorante.