Avete presente quando vi chiedono con quale personaggio letterario vi piacerebbe uscire a cena? Beh, in questo momento io risponderei Dorrit Weger, la protagonista di L’Unità. Perché proprio lei? Perché è una donna intelligente e un po’ ruvida, una scrittrice che non si vanta dei suoi successi o lamenta dei suoi insuccessi, una donna forte ma stanca di esserlo, priva di illusioni e aspettative ma piena di voglia di vivere, generosa quando necessario. Perché è “dispensabile”.
Al compimento dei 50 anni, Dorrit è diventata “dispensabile”. Una parola che non esiste. Che non abbiamo mai sentito. Che era facile da creare, però. Nessuno di noi è indispensabile, quante volte ce lo siamo sentiti dire e quante volte l’abbiamo detto. Ma nessuno ci ha detto che siamo “dispensabili”, né ce lo siamo mai detti da soli. Certo bisogna fare un passo avanti. Entrare in un mondo che non c’è (per fortuna) ma che potrebbe esserci. Domani o dopodomani. In Svezia o altrove.
Tornando a Dorrit. In un imprecisato futuro, il governo della Svezia, molto attento al conto economico, al costo di ogni singolo individuo per la società, alle necessità riproduttive, stabilisce che sono indispensabili i genitori, tutte le donne e gli uomini che hanno dei figli o che potrebbero averli, insomma in età fertile e in buone condizioni di salute fisica, mentale, economica e sociale. Dichiara invece “dispensabili” tutte le persone che hanno oltrepassato l’età della procreazione e che non hanno figli, o che vengono ritenuti inadatti ad avere e crescere dei figli. I “dispensabili” si rendono utili come cavie per nuovi farmaci, terapie psicologiche ed esperimenti sociali, fino al gesto di generosità estrema: la donazione finale di un organo che andrà a salvare la vita di un genitore. Un gesto indispensabile per salvare un indispensabile, ma che costerà la vita al “dispensabile”.
Fuori dai giochi di parole, Dorrit ha compiuto 50 anni, non ha figli e non ha un compagno, ha fatto lavori e lavoretti ma niente di stabile. Scrive, ha un reddito minimo e ballerino. E vive con il suo cane in una casetta di campagna molto malmessa. L’Unità è il suo destino, Dorrit lo sapeva e si presenta puntuale sulla soglia di casa, a ricevere il taxi che la porterà all’Unità. Che ad un primo colpo d’occhio non è poi così male. Le viene assegnato un appartamento piccolo ma confortevole, può servirsi di cibo in abbondanza, buono e sano e di qualità. L’Unità è un grande ambiente sempre caldo, luminoso, con un enorme giardino sempre in fiore. Cinema, teatro, negozi, laboratori, mostre. Una festa per accogliere ogni nuovo ospite, che festeggia il compleanno e l’arrivo al sito. Una prigione dorata. Con potenziali amici, persone che condividono la sua condizione.
Quello che manca di più a Dorrit è il suo cane. Ha un sogno ricorrente, una giornata fredda al mare, con il cane che corre sulla spiaggia, alla rincorsa del bastoncino che lei gli lancia. Freddo e libertà. Entrambi assenti nell’Unità. Però poi, del tutto inaspettatamente, in quel luogo Dorrit trova l’amore: Johannes. Uno scrittore che aveva incontrato nella vita vera, prima. Un uomo un po’ più vecchio di lei, con cui comincia una relazione intensa, potente e profonda. Il domani è deliberatamente (e faticosamente) lasciato fuori, perché entrambi conoscono il loro destino e vogliono ignorarlo vivendo il tempo che hanno. Ma succede che l’amore, come è sua abitudine, spariglia le carte e crea l’imprevisto. Così Dorrit si trova di fronte a una scelta particolarmente dolorosa, particolarmente estrema. È nel confronto con la crudeltà di Stato che Dorrit mostra la sua forza, la sua volontà di seguire sé stessa e le sue convinzioni intime e personali, la sua capacità di dare corpo ai principi e di confrontarsi senza timore con le istituzioni e i suoi rappresentanti. Di scegliere quello che davvero conta, quello che è davvero importante. Dimostrando che non c’è totalitarismo che possa davvero entrare dentro di noi, se sappiamo chi siamo e vogliamo esserlo, costi quel che costi.
È un romanzo denso e intelligente, quello di Ninni Holmqvist. L’ambientazione distopica non è tanto un espediente per proporre certe riflessioni e certi timori e certe preoccupazioni, che pure ci sono, quanto un passo in più dentro alle possibili evoluzioni del nostro presente. Quindi piuttosto una simulazione, una prova generale. Conosciamo i rischi a cui ci esponiamo nella corsa scriteriata (proprio letteralmente priva di criteri) al progresso tecnologico. Conosciamo il potere delle ideologie e la debolezza delle masse. La definizione della categoria “dispensabile” ci dà la sveglia, ci apre la porta a quello che potrebbe succedere se continuiamo ad essere distratti, superficiali, di vista corta.
Però al di là dello scenario inquietante, delle riflessioni necessarie, L’Unità lascia anche un sapore di dolcezza, uno sguardo delicato sull’umanità, e il senso profondo della bellezza intorno a noi. La bellezza che sta nel mare d’inverno, nella neve che scende a coprire tutto, in una carezza e in un abbraccio, nel modo in cui un cane ci guarda; nel chiedere scusa e rispettare il silenzio, nell’ascoltare, nel ridere e nel piangere. Nella pienezza della vita quando è vissuta con dignità, con consapevolezza. Con tutto il cuore, e quindi anche con coraggio. Indipendentemente da quello che verrà poi.