Ci sono romanzi che aprono un ventaglio di riflessioni affrontando molte tematiche al loro interno. Non poteva essere altrimenti per questo testo che narra la storia di una famiglia numerosa che vive in una zona sperduta della campagna finlandese: una madre cinquantacinquenne, Siri, che sopporta le angherie e le violenze di un marito rude e dispotico e i quattordici figli, due dei quali deceduti a due e cinque anni. Il più grande, Esko, ha circa trenta anni, mentre il più piccolo, Onni, non è ancora in età scolare e tutti subiscono indistintamente l’indifferenza e i soprusi paterni. La differenza di età tra i fratelli è notevole e serve all’autrice, Nina Wähä, svedese al suo terzo romanzo, per formare un nucleo eterogeneo che può essere considerato uno specchio della società
Siamo nel 1981, e Annie, la maggiore delle sorelle che si è trasferita a Stoccolma, rientra incinta per Natale. Non trova niente di nuovo, il padre, Pentti, continua nelle sue brutalità verso la moglie e i figli che sembra non amare: i tanti maschi che ha generato li considera solo come forza lavoro, adatti unicamente ad aiutarlo nella gestione della fattoria. La situazione è tesa, la tragedia sembra sempre essere dietro l’angolo e quando i figli scoprono che oltre a maltrattarli Pentti si macchia anche di un atto abominevole, convincono la madre a chiedere il divorzio. Se la situazione non esplode è solo per una serie di coincidenze fortuite e perché tutti i figli, a parte Voitto, l’unico non inviso dal padre forse perché è l’unico ad avere i suoi stessi tratti somatici, si schierano dalla parte della madre. Alla fine Siri si trasferisce con i due figli più piccoli cominciando una nuova vita in cui finalmente ritrova se stessa.
La morte del padre, che rimane misteriosa, innesca reazioni impensabili nella famiglia: Pentti lascia un testamento nonostante non ci sia molto da spartire tra gli eredi, ma le sue parole di accusa verso i familiari e il racconto di parti della sua vita, dei sentimenti che ha provato, delle tragedie che ha vissuto lo mostrano in una luce diversa. Anche da morto le sue parole lasciano il segno, è la sua vendetta contro una famiglia da cui si è sentito abbandonato: i fratelli litigano, vengono a galla rancori che per anni erano rimasti sopiti, si formano piccole coalizioni che accusano gli altri di voler speculare sulla morte del padre. Le sue perversioni e le sue prevaricazioni sembrano passare in secondo piano e il suo obbiettivo di rompere la solidarietà familiare va in porto.
Il testamento è un romanzo crudo, che non lascia scampo al lettore e lo mette di fronte a tematiche tragiche come la guerra, la violenza e il patriarcato. L’autrice riflette anche sui rapporti sentimentali e interpersonali, sul ruolo della donna nella società, sulla funzione del femminismo, sul senso della vita, della maternità e sulla morte. E, soprattutto, sui rapporti malati che governano il nostro vivere quotidiano. Non è sempre facile seguire i tanti personaggi del romanzo tanto che, prima della narrazione, compare un elenco coi loro nomi e la loro parte nella storia. Proprio come nei classici di fine Ottocento e inizio Novecento. Ma per la mole di questa saga familiare non poteva essere altrimenti. Nina Wähä, classe 1979, ex cantante e attrice, insegna scrittura creativa e lavora come editor freelance. Il testamento è tradotto in numerose lingue, è stato selezionato per diversi premi letterari, tra cui l’August Prize, il Norrland’s Literature Prize, il Tidningen Vi’s Literature Prize, e ha ricevuto il premio letterario della Radio svedese. L’edizione francese è stata nominata al Prix Femina Étranger. Un libro da leggere, da tenere d’occhio per futuri sviluppi filmici.