Nina de Gramont / Il mistero di una sparizione

Nina de Gramont, Il caso Agatha Christie, Neri Pozza, tr. Massimo Ortelio, pp. 336, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub

La sera del 3 dicembre 1926 Agatha Christie si allontana in auto dalla sua abitazione, la villa di Styles nel Berkshire, alle porte di Londra. A casa restano la figlia Rosalind, di sette anni, la domestica e l’adorato cane Terrier Peter. Il 4 dicembre mattina la sua Morris Cowley viene ritrovata sul bordo di una cava di gesso del Surrey; in folle, i freni non inseriti, i fari spenti perché la batteria si era scaricata. Sul sedile posteriore, il cappotto di pelliccia che indossava quando è uscita di casa. Nei dintorni, diversi specchi d’acqua che nei giorni successivi verranno dragati alla ricerca del cadavere.

Per undici giorni Agatha Christie rimase nascosta nello Yorkshire, nel lussuoso Hydropathre Hotel di Harrogate, stanza n. 105, registrata con il nome di Teresa Neele, cognome dell’amante del marito. L’hotel era quello dove Archibald Christie avrebbe dovuto trascorrere il weekend con l’amante, Nancy Neele. Il 3 dicembre marito e moglie avevano avuto un violento litigio e Archibald aveva dichiarato ad Agatha l’intenzione di divorziare, per poter sposare Nancy. La versione ufficiale data alla stampa fu che Agatha, in preda a un esaurimento nervoso (dovuto anche alla perdita, qualche mese prima, della madre), avrebbe avuto un’amnesia e avrebbe trascorso undici giorni in camera a ricamare, risolvere cruciverba e leggere sui giornali le notizie riguardanti la sua sparizione e la mobilitazione in atto per ritrovarla. Di quella scomparsa in seguito non parlò né scrisse mai, almeno direttamente.

Secondo Jared Cade, che nel 1998 ha pubblicato il libro-inchiesta Agatha Christie and the Eleven Missing Days (Agatha Christie e il mistero della sua scomparsa, Giulio Perrone editore 2010), Agatha avrebbe pianificato la scomparsa per vendicarsi del marito, nella speranza di farlo accusare o quantomeno renderlo pubblicamente colpevole morale della sua sparizione. Quando si accorse che il marito non veniva incriminato, avrebbe desistito e si sarebbe fatta ritrovare. Cade ha studiato approfonditamente il caso, cercato testimoni, individuato nella cognata Nan Watts una complice nella fuga. Secondo altri, Agatha sarebbe scappata con un reale intento di suicidarsi oppure avrebbe escogitato tutto quanto per farsi pubblicità, per quanto già allora fosse una scrittrice piuttosto nota. Il caso fu seguitissimo dall’Inghilterra dell’epoca, coinvolgendo vari personaggi, tra i quali Arthur Conan Doyle che consultò un veggente il quale, manipolando un paio di guanti della scomparsa, la diede per spacciata.

La sparizione di Agatha Christie è il centro del romanzo di Nina de Gramont. La vera protagonista, però, non è Agatha ma l’amante, Nancy Neele, che nel racconto è chiamata Nan O’Dea. Alla coppia formata dai due AC (Agatha e il marito Archibald) la scrittrice intreccia una seconda coppia composta dall’amante a dal suo grande amore, che non è Archibald ma un affascinante giovane uomo irlandese che aveva segnato, nel bene e nel male, la sua adolescenza. Con il ménage a quàtre si intersecano diverse figure e, su tutte, la giovane figlia di Agatha e un sornione improbabile (e per questo personaggio letterario assai moderno) commissario di polizia, Frank Chilton, insieme a diversi personaggi minori in un intreccio narrativo che, in molte scelte e snodi, è un omaggio alla letteratura gialla della Christie.

La storia si dipana su due linee temporali principali: da una parte gli intensi giorni di dicembre 1926 alla ricerca dell’Agatha scomparsa, dall’altra il passato di Nan O’Dea: tra un padre severo, un amore proibito, la permanenza forzata in un convento di suore per la “riabilitazione” e altre figure di donne oppresse, derubate dei figli, punite. Gli eventi decisivi avvengono tra le stanze dell’hotel, dove si consumano vendette, amori reali e inventati, avvelenamenti in pieno stile A(gatha) C e assassinii.

I fatti reali sono noti: dopo il ritrovamento il marito tornerà da lei ma il matrimonio fallirà definitivamente due anni dopo e nel 1930 Agatha sposerà l’archeologo Max Mallowan, più giovane di lei di 13 anni, decisamente meno seducente di Archibald ma ben più adatto come marito. Insieme a Max, Agatha viaggerà nel Medio Oriente, finalmente libera di uscire dalla silhouette perfetta della sua gioventù, che Archie le rimproverava di non aver saputo mantenere dopo la nascita della figlia. Lui, Archibald, non è necessario dirlo, sposerà l’amante.

Quella raccontata da Nina de Gramont è una Agatha Christie insolita. Siamo abituati a vederla sempre sorridente, impeccabile signora inglese che non sembra poter aver considerato come seri problemi le questioni sentimentali, il desiderio di un altro corpo, la gelosia e la rabbia nei confronti di un’altra persona. Qui invece Agatha ha solo 36 anni, è riflessiva e un attimo dopo impetuosa, come se fosse incerta di cosa far trapelare dei propri sentimenti. Forse compie un gesto sbarazzino, folle, vendicativo. Lei razionale, pragmatica, misurata, forse decide di lasciare correre i giorni senza controllarli. Una “uscita dal personaggio”, come la definisce la sua controparte, l’amante, la narratrice. Undici giorni di esilio volontario e di acque profonde di cui dobbiamo esserle grati: per averci mostrato che abbiamo il diritto di sparire, di tacere, di ritagliarci spazi inverosimili e ricordi inenarrabili: scabrosi, vergognosi o infantili che siano. Per lei, probabilmente, è stato anche un modo per imparare a raccontare meglio le storie.