Nikos Kazantzakis / La danza leggendaria e libera di Zorba

Nikos Kazantzakis, Zorba il greco, Crocetti Editore, tr. Nicola Crocetti, pp. 384, euro 18,00 stampa, euro 6,99 epub

Uno degli enormi dilemmi che tormentano poeti, romanzieri e lettori è lo iato tra letteratura e vita: da una parte quella parentesi magica di sospensione che i libri sono in grado di regalare, dall’altra il vortice furioso dei giorni. Riuscire a raccontare con onestà intellettuale questa divaricazione insanabile è prerogativa dei grandi, che mostrano così di meritare l’eternità. Appartiene senz’altro a questa schiera il cretese Nikos Kazantzakis, il quale nel celebre capolavoro Zorba il greco costruisce con vividezza immaginifica il legame viscerale e antitetico tra un intellettuale, l’io narrante, e un “drago”, il vecchio operaio del titolo che, quando non ne può più di parole vuote, balza in piedi e prorompe nitrendo nella sua danza leggendaria di uomo libero.

Drammaticamente impegnato nella ricerca spasmodica della parola definitiva, quella capace cioè di mettere un punto ai suoi conflitti interiori, il narratore trascorre la sua esistenza in un guscio rassicurante di assennatezza e consuetudine; soltanto l’incontro con Zorba gli permette di acquisirne contezza, perché quest’ultimo incarna la vita stessa, con i suoi furori indomiti, i suoi slanci irrefrenabili, la naturalezza ingenua, l’ardore selvaggio, lo sguardo che contiene in sé l’origine del mondo. A ben vedere, la maturità del rapporto consiste nella consapevolezza adulta del fatto che la vicinanza non porterà a una sintesi tra gli opposti: l’amicizia, cioè, per quanto solida, non sarà foriera di metamorfosi, ma garanzia di autenticità, incoraggiamento verso la fedeltà alla propria natura e a quella dell’altro.

Questo legame intenso, così vibrante nel reale, non perde di tridimensionalità sulla pagina scritta: ciò accade grazie alla maestria di Kazantzakis, il quale lascia che ogni parola risuoni del rumore del vento e del mare e sia inebriata dell’odore della terra, del sudore e del sangue. La resa italiana di Nicola Crocetti è un ricamo d’eleganza che onora la prosa poetica con cui l’autore apre e chiude ciascun capitolo. Il fatto che l’uscita di quest’edizione rinnovata coincida felicemente con la pubblicazione, sempre per Crocetti Editore, dell’Odissea, poema portentoso di 33.333 versi composti dal medesimo scrittore, è un implicito invito a leggere insieme le due opere: sarà così inevitabile cogliere gli avvincenti e prodigiosi rimandi tra i due capolavori, espressioni diverse di un unico, metaforico racconto in cui si disvelano la voce appassionata e la visione lungimirante di Kazantzakis. Nel poema e nel romanzo il lettore ritroverà infatti alcuni temi comuni: la ricerca della verità che si sostanzia nell’ascesa, la bellezza che sfiorisce e che nondimeno incarna il frammento prezioso di una storia infinita, l’immortalità garantita a chi non teme di ascoltare il grido divino che ha dentro e compie con fierezza il proprio viaggio.

Ironico constatare che un ulteriore elemento di raccordo tra i due libri è costituito dagli epiteti: se nell’Odissea la fantasia inesauribile dell’autore aveva coniato oltre mille appellativi per definire il multiforme Ulisse, in Zorba il greco questa pratica, privata del suo slancio creativo, viene attribuita a un vecchio vescovo, che, trascrivendo i codici del monastero in cui studia, elenca “tutti gli epiteti laudativi che la nostra Chiesa rivolge alla Vergine Maria” e dimentica così “le miserie del mondo”. Le altezze vertiginose della letteratura, che nel poema trovavano indiscutibile legittimazione, nel romanzo vengono dunque messe in discussione dallo stesso Kazantzakis, attraverso un esercizio graffiante e ammirevole di autoironia. Si tratta in realtà dell’amara disperazione di chi non riesce a trovare una conciliazione tra la pagina e la vita: la biografia dello scrittore, costellata di slanci, delusioni e rifiuti, dolorosamente ce lo ricorda.

Cosa resta allora? Il tentativo di affidare alla scrittura la memoria di quest’anima grande, di rendergli onore attraverso l’unica forma di risurrezione che è prerogativa degli umani: “Diamogli dunque sangue perché riprenda vita. Facciamo tutto quanto è in noi perché riviva ancora per un po’ questo straordinario crapulone, beone, lavoratore instancabile, donnaiolo e zingaro. […] Il grido più libero che io abbia mai conosciuto in vita mia”. Ed eccolo, Zorba, eccola, la vita, che conquistano l’eternità grazie alla letteratura.