Secondo volume di reportage, dopo Il Mediterraneo in barca, da parte di uno scrittore d’eccezione, riuniti e apparsi per la prima volta fa il 1933 e il 1934. Europa 33 accoglie nelle sue pagine scritti giornalistici (e mai termine fu più azzeccato e consono pur nelle numerose e gustosissime eccezioni presenti nei diversi capitoli) per lo più usciti su Voilà, rivista “non come le altre”, avverte Matteo Codignola nella sua nota, non foss’altro perché inventata da Gallimard nel 1931, prima dell’illustre sorella Life. Gran fotogiornalismo, presenza di scatti fotografici inconsueti e montaggio scaltro.
Le immagini in questo volume sono tutte opera di Simenon (si spostava munito di macchina fotografica, una Leica), a cui univa il testo da inviare alla redazione. Cartoline viaggianti, potremmo dire, per le strade, i villaggi e le città di una Europa orientale dalla provincia incauta, miserabile e preziosa, priva di contante ma elegantissima, sia negli eserciti (mettersi in mostra è lo sport preferito) che nei pomposi Hotel in essa contenuti. Lo stile parigino, dai Soviet alla losca presenza di Hitler, impazza ovunque, ma le immagini dell’autore, più o meno rubate, scoprono le carte grigie di popolazioni abitanti le campagne desolate e ghiacciate di Polonia e Romania, dove il progresso è inesistente e l’aria che si respira è quella degli ammassi di polli d’allevamento. I polacchi però, alla vista di Simenon appaiono come gente orgogliosa e capace di opporsi a qualunque cosa a scapito della pelle.
Per via di terra, dopo le veleggianti pagine dedicate al Mediterraneo, la narrazione tende a stanare qualunque cosa in qualunque angolo, sia d’interni che di aspri poderi contadini. Ma nelle città, ben altre visioni. A Bucarest i telefoni sono gestiti dagli americani, e a Parigi non prendono sul serio questa irriverente mania d’assomigliare alla Francia. Ma poi sì, basta un sorso abbondante di vodka e l’ottimismo dilaga. Ma Simenon non sembra convinto, guarda, fotografa e descrive, forse alcune cose gli sfuggono, forse incamera racconti di personaggi in cerca di fama, o di altrettanti sognatori, ma le descrizioni di ragazze simil-parigine in trasferta ci regalano un profumo incipriato e qualcosa delle sue famigerate rincorse verso signorine d’equivoca fama.
Questi reportage possono prendersi come memorie moderne che ci risvegliano di soprassalto da croniche smemoratezze. L’attrazione e il divertimento fanno sì che si leggano volentieri certe sagacie esposte con rapidità, così come le istantanee (successivamente curate da una meticolosa Tigy, la prima moglie, in sette grossi volumi) corrono veloci da un album all’altro. L’offerta documentaria di quanto potevano offrire i grandi alberghi europei in quegli anni non assomiglia affatto a dépliant pubblicitari: ispettori tengono d’occhio certi giovani eleganti e truffatori con valigie piene di mattoni mentre tutti inseriscono nei loro dialoghi domande su ambasciatori e principesse. Nessuno ha contanti, il credito in quei luoghi è assicurato da addetti al ricevimento in tight, ma nessuno è disposto a farsi imbrogliare. Stesse scene a Berlino, Vienna, Budapest, o Belgrado. I suicidi vanno sulla cronaca ma i nomi degli Hotel non vengono citati. Nessuno può permettersi di morire in quelle stanze ma, se proprio deve, abbia cura della discrezione. Va da sé che vi sia ampia scelta di compagnia femminile, dotata d’eleganza e “buona educazione”. La quintessenza degli Hotel di lusso in una Europa malata sembra divertire Simenon più del dovuto, ma lui viaggia fuori dai dogmi e traffica parecchio con la sua personale idea del mondo. Non vuol essere comparsa in quel guazzabuglio di confini destinati al crollo, ma testimone anche ossessionato e felice di vedere turlupinati i “turisti”.
Il lettore che si farà ammaliare dal fiuto di Simenon reporter, autore già nel 1933 di una folla di Maigret e altri romanzi, eredita un carico scenico di popoli affamati e stravaganze di élite principesche, nevrastenie varie e il nazismo che casca addosso al continente. Un bagaglio spesso trasfigurato nella sua narrativa. Come s’è scritto, Simenon possiede un occhio in apparenza immune mentre l’interesse va tutto a un’umanità di multiformi usi e costumi nel centro oscuro dell’Europa, “fotografata” sotto il tiro dell’incombente minaccia e sulla soglia della catastrofe.