Milo De Angelis. Nessun luogo è comune, in poesia

Milo De Angelis, Linea intera, linea spezzata, Mondadori Lo Specchio, pp. 112, euro 16,00 stampa, euro 9,99 epub

Altre esplorazioni, altri accorgimenti che destinano nelle profondità di un territorio attraversato lungo l’intera esistenza. In superficie ci sono stati tutti i respiri, e le gare, e le corse atletiche di ragazze, mentre ora gli spettri si aspettano saluti intensi da quella vita che sembra sempre più assomigliare loro. Sugli asfalti e gli acciottolati i tram hanno nomi semplici, numerici, come i nomi dell’età di Milo quando si affida al guidatore, salutato come un compagno di scuola. Oltre il vapore che gocciola sui vetri c’è una terra che in mezzo secolo ha saputo contenere tutto: compagni e compagne, ferite e discendenze, sostanze chimiche e cartoline, dialoghi e parole dure con i maestri, sapori e odori che dalla Luna e i falò sono passati nelle periferie posandosi sui biliardi e sulla nicotina rappresa dei giocatori.

Torna il racconto, quel romanzo dentro cui il poeta ci ha tenuto desti per tanti anni, vigili sul tema ricorrente degli a capo inestimabili e perfetti. Come se le gallerie percorse a piedi non tenessero conto del buio, e gli amori non si smarrissero fin dove giunge la morte. Non è mancanza di vita, ma nessuno che aspetta all’uscita. Le linee intere e spezzate reggono, al loro interno, non solo l’immagine dell’I Ching che definisce l’esistenza umana, ma l’idea del silenzio eroico che oggi si diluisce in quello pandemico. Dettagli e apparizioni con sempre più nomi da lanciare alla memoria del giorno dopo, dei giorni seguenti, e degli anni, fin quando si potrà. Un grande impegno, per un libro di poesia, che assomiglia a quelle eterne storie d’amore talmente esatte da risultare, per alcuni, nemiche, pericolose, tossiche. Non sapendo che per quanti la pensano così, affogare in una mancanza di destino è un attimo. Per poi sciogliersi in un vuoto di parole.

Lo sport nella città notturna vista da De Angelis avviene nelle palestre, nelle piscine e nei campetti dove stanno i segreti degli anni, forse dei secoli, dove accanto a Lucrezio e Leopardi appaiono i poeti Vittorio Sereni e Franco Loi. Seguendo i loro passi, in una tersa e inesausta poetica, Milo ha attraversato sentieri spinosi di spine che soltanto la grande signora degli Insonni poteva acquietare. E quante stagioni abbiamo valicato nelle sue poesie, dalla primavera col suo passaggio di ragazze al muto tempo che non è più inverno ma nemmeno estate. Le adolescenze non si sono consumate in vie contradditorie, quasi tutte hanno attraversato i decenni come se il tempo fosse stato essenzialmente geografia, o carta topografica con molte aggiunte di linee – rette, curve, intere, spezzate. “Il meno prevedibile”, si leggeva nella quarta di copertina di Somiglianze, tra i poeti di quegli anni: era il 1976, e avvertivamo una grazia nel percepire la trasparenza intorno alle sagome avvicinate per dar loro un nome. Una solidità che ne avrebbe imposto durezza e destino ineluttabile.

Oggi entrare nel gasometro cittadino (questa visione ricompone l’antica Nuova Epoca) è possibile poiché la fortezza si è convinta dei passi a milioni che sono stati necessari per comprenderla, quando il Novecento si trasforma in un sogno attraverso la parola che lo definisce. Milo si è ritrovato “tra due secoli”, e non poteva che passarci con la sua “ardua parola” il cui gesto perfetto lentamente e inevitabilmente ha avvicinato un racconto con tutti i nomi, le gesta, le apparizioni e le conseguenze di una prosa accarezzata con delicatezza perché non conducesse a una pagina normalizzata, con poco al suo interno da tradurre. Un viaggio “di notte” lunghissimo, i cui stadi nutrono le singole raccolte uscite con precise cadenze, e che ora si ritrovano allineati nelle poesie delle Nove tappe del viaggio notturno, seconda sezione del nuovo libro, memorabile insieme a Aurora con rasoio: a nessuna delle due ci è dato sottrarci, perché se vogliamo stare stretti alla poesia di Milo occorre tentare una visione sempre più meticolosa e dettagliata. Dell’anima, occorre chiarire – via da stratagemmi correnti, via da un luogo che tanti vorrebbero comune. Il passo instancabile procede secondo una genealogia stabilita, per storie concentriche, avanzamenti e ritorni, non c’è niente che si perda per sempre in qualche fumoso limbo, non è nemmeno un assedio quello a cui assistiamo, ma le ombre si palesano staccando via via foglietti dal calendario e ogni volta luci e buio si alleano affinché la trasparenza, nata col poeta, sia prima risorsa, desiderata e amata. Dunque gli amori ricompaiono, e insieme a loro le voci disperse e poi tornate, in un gesto solitario ma che presuppone saldezza di gambe e spina dorsale. In fondo le vertebre sono il canale di comunicazione fra la mente e gli arti. Milo prende al volo l’autobus soltanto quando riesce a nominarlo. Il numero, Cinquantasette, respira l’aria di una netta mitologia, secca, esatta, priva di gingilli. Solo il morso del tempo è importante. E questo lo sappiamo fin dall’esordio di Somiglianze. Ma ora gli amici, le ragazze, i campioni, chiamano per nome il loro astante: il nome di Milo in Linea intera, linea spezzata, ricorre più volte. E non sarà per caso, finalmente lui è qui.

Non si parlerà mai abbastanza della parte femminile – del suo modo – presente in tutte le raccolte, nessuna esclusa, pubblicate da De Angelis: uomo ritrovatosi nel lembo occidentale d’Europa. Madre e anima prima di tutto, e le ragazze a cui non è permesso estinguersi, amiche e compagne lanciate fuori dalle ristrettezze tramite il gesto atletico, greco e mediterraneo, nude e bellissime, a cui è rivolto lo sguardo (e l’amore) diritto, fermo, filmico, che fa sopravvivere in mezzo ai tanti addii. In Aurora e rasoio la morte non è (sempre) condanna ma statuto di serietà, immanente in tutti i luoghi della vita: supermercati, scuole, palestre, carceri, bar, e altre residenze cruciali, in mezzo alle strade e al sangue. Qui, in ogni poesia, c’è la pulsazione arteriosa che non fa dimenticare alla mente quel che ognuno di noi ha ereditato dai chioschi notturni e dai risvegli improvvisi in un’atmosfera improvvisamente rarefatta. È la storia comune mai scritta così, né definita prima in morti che “non sono qualsiasi” – che non lo saranno. Il testamento di qualcuno, nominato, senza bigliettini ma col torrente in piena del veleno. Chi se ne va deve stare attento, potrebbe precipitare dove sarebbe irraggiungibile. Ma l’intera poesia di Milo, da che esiste, è la strenua visione di chi ancora cammina, e ancora dice “sono qui sono qui”, con tutte le sue sillabe.