La deliberata distruzione di un paese costiero, sull’oceano nei pressi di Brest, luogo di placide congiunture, dove la visione individuale e collettiva sembra non appartenere al tempo, passa attraverso l’inganno finanziario, la truffa. Da parte di un demone riassunto nel personaggio di Lazenec, agente immobiliare apparso improvvisamente come calato dai cieli oscuri dei poteri economici.
Nel dipartimento francese di Finistère gli eventi non sono di casa, questo intende dimostrare Kermeur, l’intendente del “castello” affacciato sul mare, dove risiede in una dependence insieme al figlio. Seduto davanti al giudice espone i fatti che a suo vedere hanno portato all’annegamento di Lazenec, a cinque miglia dal porto durante una battuta di pesca. Viel, a mezza strada fra un Simenon d’annata, e una Vargas meno saccente del solito, pone subito in primo piano un più che certo assassinio, premeditato da Kermeur: una spinta e giù nelle gelide acque dell’oceano. Un uomo completamente vestito, in quelle circostanze non può nuotare, è destinato a sprofondare e annegare. Kermeur di fronte alle grida di aiuto per tutta risposta spinge la manetta del gas e gira il timone del Merry Fisher di nove metri dirigendosi dritto verso la costa. In un quarto d’ora il battello attracca al pontile, e per l’agente immobiliare è finita. Il mare restituirà il corpo inanimato poco dopo. E poco dopo ancora, l’intendente viene arrestato e rinchiuso in cella.
Tutto questo avviene nel primo capitolo di Articolo 353 del codice penale. Viel inizia così la sua storia, quella che verrà successivamente raccontata da Kermeur al cospetto del giudice istruttore. Attraverso riflessioni metafisiche (il sale di questo sorprendente romanzo) e pensieri di lucido pragmatismo, il giudice ascolta quasi sempre in silenzio come il miglior psicanalista. Il racconto si distende per cerchi concentrici, racchiudendo il borgo e i suoi abitanti dentro una cupola da cui niente e nessuno ha mai potuto e potrà sfuggire. Il plastico sotto vetro del complesso immobiliare, esibito alla popolazione dal livido e enigmatico Lazenec, prefigura l’operazione finanziaria che porterà a radere al suolo parte della cittadina, del castello e del parco. Al suo posto altissimi edifici, sede di super-residence d’alto bordo ed esclusive spa. Quel che dovrebbe accadere ma che mai accadrà. A parte l’abbattimento, negli anni successivi, del castello e la distruzione del parco sotto montagne di detriti accumulate dalle ruspe.
Il faccendiere deve aver racimolato montagne di denaro, sottratte attraverso il suo ingannevole influsso ai cittadini e allo stesso Kermeur, sottomesso psicologicamente. Persino sedotto e ricattato facendo leva su ignavia e incapacità di smuovere la propria esistenza col figlio Erwan. Figlio che, dopo malumori più o meno esibiti, occhiate di sbieco verso l’essere demoniaco, giunto in paese con valigetta misteriosa contenente denaro droga o altre nefandezze, farà volare alla svolta finale del romanzo. Imputato e giudice, uno di fronte all’altro, saranno protagonisti di uno svelamento di raro impegno formale (nel senso letterario) ed etico.
Quasi sempre alle prese con certi libri d’imposizione decaffeinata e di sfruttamento retorico e smutandato del politically correct (dove appaiono aggeggi narrativi degni di lacrime congressuali), Articolo 353 del codice penale regge in pieno, per una volta, la definizione impostagli oltralpe da Paris Match: “un romanzo di gran valore”. Dove la giustizia gira come gli anelli di Saturno, dopo aver assistito quasi impotente a ribaltamenti di valore sulle cose e nelle menti umane. L’indolenza di Kermeur, davanti all’istruttoria ed esplosa precedentemente in mare, sterza verso una meditazione ad alta voce che ha nella profondità e nelle pieghe della ragione oscura, nelle sue storture, certe investigazioni mai dimenticate di Dürrenmatt.