Naufraghi di una nuova catastrofe cosmica

Alla metà degli anni '80 Felix Guattari guarda al cinema per raccontare la società molecolare e le forme di vita in emersione dal nuovo regime neocapitalistico. Ma "Un amour d’UIQ" è anche più di questo e di una sceneggiatura di fantascienza per un film fantasma che non ha mai visto la luce.

Siamo tutti “naufraghi di una catastrofe cosmica”  che ha il potere di “svuotare il futuro di ogni consistenza”. È su questo paradigma che Felix Guattari enuncia “il suo bisogno di passer à l’acte” promuovendo il suo desiderio di fare cinema nel bel mezzo della “grande depressione provocata dalla falsa euforia edonista degli anni d’inverno” (gli anni Ottanta), aspirando a una nuova “avventura molecolare e collettiva” capace di diventare “terreno di sperimentazione dei processi di soggettivazione mescolando elementi d’improvvisazione, performance, danza, installazione e videoarte.” Un amour d’UIQ, questo il titolo, è la sceneggiatura per un film di fantascienza pubblicata per la prima volta in Italia, alla fine dell’anno scorso, dalla Luiss University Press, tradotta e curata da Silvia Maglioni e Graeme Thomson. È la terza stesura che Guattari scrive, e questa volta da solo, dopo le due precedenti in collaborazione col regista americano Robert Kramer. (1)

UIQ, nelle sue diverse elaborazioni è, come i manoscritti di Marie Curie, materiale da trattare con le dovute precauzioni. (2) Può contaminare e produrre modificazioni, in chi lo tratta, irreversibili, come far crescere “delle lunghe orecchie da cane” oppure degli “occhi da mosca” per vedere “tutto con un effetto stroboscopico”. Ma anche farci diventare “insensibili al freddo, alla fatica e al dolore”. Forse per nuove possibilità di sfruttamento?
Quella di Guattari è una fantascienza che ben s’addice a quel gioco della matassa (3) a cui Donna Haraway riconosce il diritto e la capacità di risignificare quel vecchio dispositivo dell’immaginario novecentesco che ha ampiamente assolto la sua funzione prioritaria di traghettare e rimodulare tanto le nostre sinapsi, quanto i nostri precari automatismi verso la nuova era (4) che abbiamo appena incominciato a conoscere e a temere. UIQ è il racconto dell’intrusione di un’entità aliena “autopoietica le cui particelle [sono] costruite a partire dalle galassie, [oppure costituite] al livello dei quark” che determina il dissolvimento del vecchio sistema di dominio, sostituendolo con una nuova nascente forma di potere supportata dall’immagine di una catastrofe che “è allo stesso tempo presente e potenziale, immaginaria e reale.” Immagine costitutiva e indispensabile per il difficilissimo e sofisticatissimo compito di realizzare “un apparato di cattura illimitato che, attraverso interfacce corporative, monopolizza tutta la nostra attenzione e la nostra energia e al contempo astrae il maggior plusvalore possibile dal lavoro creativo, dal comportamento e dalle relazioni sociali.” (5)

Tra i protagonisti del testo, apparentemente poco protagonista, forse testimone modesta, la scimmia Lara si rende visibile soprattutto per il suo scagazzare lungo tutta la trama del racconto per arrivare, alla fine, ad essere bruciata “lentamente, emettendo dei gemiti acuti e disperati.” (6) Sopravvivenza, ormai obsoleta, di quel corpo grottesco che appartiene alla storia dell’umano/animale che “rivela la propria sostanza, come principio di crescita e di superamento dei propri limiti soltanto in atti come l’accoppiamento, la gravidanza, il parto, la nascita, l’agonia, il mangiare, il bere e la defecazione. È un corpo eternamente ‘non dato’, che genera ed è generato senza tregua.” un corpo “non separato dal resto del
mondo, non (..) chiuso, né determinato, né dato, ma [che] supera se stesso, esce dai propri limiti.” (7) Sbarazzarsi di questo corpo ingombrante ma, allo stesso tempo, volersi incarnare in qualcosa di solido e concreto, un corpo immortale, o ricombinante con organi sempre sostituibili (topos fantascientifico), è il sogno, o delirio, dell’utopia capitalista. “Non potete capire, il dolore che si prova quando non si ha un corpo, quando non si hanno limiti. E non si può morire”, ma solo essere “spenti”, come confessa di temere UIQ. Il nuovo nascente potere che estrae energia principalmente dalle relazioni, dai sentimenti e dalle emozioni, (8) si trova di fronte al paradosso di doversi alimentare con affetti che però non
possono concernere “la rappresentazione e la discorsività, ma l’esistenza.” (9) E l’esistenza è legata ineluttabilmente a quel corpo tanto grottesco quanto reale e concreto che posizionandosi in basso (la tanto discussa e negletta pancia) condiziona l’alto raziocinante molto più di quanto mai si sia disposti a concedere.

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Sono sogni eternitari e mortiferi quelli che fanno gridare a Janice, la punk vittima designata per l’incarnazione di UIQ: “dov’è l’uscita in questo sistema?” Non c’è salvezza, ci aveva già avvertito Kafka. La salvezza è una promessa che solo il potere fa, ma l’avventura dell’umano è fatta invece solo di scappatoie e vie di fuga cercate con pazienza e tenacia. La libertà si guadagna momento per momento e mai una volta per tutte, né a livello singolo né collettivo. Ha allora, forse, ragione Felice Cimatti che nella sua recensione (10) vuole vedere, qui, lo scontro finale tra un principio trascendente che odia la vita e il corpo e, un principio immanente, ribelle che non smette di amare la vita corporea? Janice è “malata di trascendenza”? Dobbiamo allora considerare come malattia ciò che costituisce l’umano in quanto tale? Pensare che vivere una vita terrena voglia dire “liberarsi dal desiderio di trascendenza” e che la non rinuncia alla ricerca dell’assoluto ci condanni oggi allo stato di non-morte degli “zombie internettiani” vuol dire azzerare di colpo un processo evolutivo, il nostro, del tutto interno a ciò che abbiamo imparato a chiamare natura. Un processo che potremmo anche azzardare a definire esperimento, che proprio su un trascendere, un ethos del trascendimento, come lo definiva Ernesto De Martino, costituisce la possibilità dell’avventura umana. Un valore, un’eccedenza, quel qualcosa di più che ci fa immaginare e aspirare ad essere altro da ciò che siamo. Il rischio di divenire altro che deriva dall’intervenire su una realtà esterna a noi, sapendo che questa a sua volta interverrà su di noi, rendendoci altro da ciò che eravamo. La rottura di questa consapevolezza e l’univocità di una direzione resa puramente lineare, sta alla base della nostra modernità e quindi delle varie forme in cui il capitalismo ci si è mostrato fino ad oggi.

Janice, che i due curatori descrivono come una “DJ punk [che] si trasforma pian piano in una figura tragica, una sorta di Giovanna d’Arco cyborg, guscio bionico del fantasma di UIQ”, se accetta infine di accondiscendere a ciò che non era in suo potere comunque di rifiutare e quindi (al di là della parodica “liberatoria” da firmare) di farsi operare, non è certo per il desiderio di essere fagocitata da una trascendenza composta di “desideri imposti e ingiunzioni sociali”. Il suo sacrificio tragico e disperato che dovrebbe riportare il mondo a una “normalità”, non permetterà a questa alcuna pacificazione. Janice si suicida gettandosi nel vuoto, ma poi si rialza e riprende a camminare invocando “che le restituisca almeno la morte.” E così Guattari nelle note racconta che un possibile titolo alternativo avrebbe potuto essere “Ridateci la nostra morte! . Ma subito deve aggiungere: “eppure non funzionerebbe più.. A chi può essere rivolta oggi una tale supplica? Al numero chiamato non ci sarà mai la stessa persona a rispondere.” E neanche alcuna certezza, prosegue Guattari: “nulla è stato deciso in anticipo, la questione rimane aperta. Nella realtà contemporanea tutto può essere riscritto a ogni momento e prendere un’altra direzione. E a ogni nuova lettura il contenuto può modificarsi, cambiare di senso.” E a Janice trovare una possibile via di fuga. Perché no? Proviamo a rileggere di nuovo il testo, proviamo ancora, nulla è scritto una volta per tutte.

NOTE

(1) Robert Kramer, cineasta indipendente americano, attorno al 1979 collabora per la prima volta con Guattari alla sceneggiatura di un film,  il Latitante, una riflessione sul movimento italiano dell’Autonomia. Nasce in seguito il nucleo di UIQ a cui i due lavorano con una prima stesura nel 80-81 e una seconda nel 1982.
(2) I manoscritti di Marie Curie sono stati contaminati dalle sue ricerche di laboratorio e sono conservati in una scatola di piombo, consultabili solamente con abiti protezione dalle radiazioni.
(3) http://www.labottegadelbarbieri.org/intorno-al-gioco-della-matassa-o-ripiglino-e-al-futuro/
(4) Che la si voglia chiamare Antropocene, Capitalocene, Chthulucene…
(5) “Molti anni prima dell’ascesa delle gigantesche piattaforme dei social media, Guattari aveva già riflettuto su come il capitale fosse diventato un operatore semiotico e la macchina semiocapitalista avesse assunto la funzione di allineare i flussi dei desideri. E aveva previsto l’emergere di ‘strumenti semiotici di integrare e recuperare in modo macchinico l’insieme delle attività e delle facoltà umane.” (dall’introduzione di Silvia Maglioni e Graeme Thomson). Questo tipo di ricodifica è lo strumento chiave che ha permesso alle società del controllo profetizzate da scrittori come Burroughs, Huxley e Philip K. Dick (e teorizzate da Guattari, Deleuze, Debord, Foucault, Baudrillard tra gli altri..) di espandersi in modo tentacolare e al tempo stesso di reintegrare numerosi aspetti dei regimi disciplinari del passato.”
(6) Val la pena ricordare qui un’altra scimmia scagazzante a capo di un gruppo di sopravvissuti alla catastrofe nucleare del 2293 nella parabola allucinante del romanzo di Paolo Volponi Il pianeta irritabile del 1978. Morirà anch’essa nella ricerca di un’impossibile salvezza.
(7) Michail Bachtin, L’opera di Rabelais e la cultura popolare, Einaudi,Torino, 2001, p. 32.
(8) L’idea di non essere realmente padroni di noi stessi, di servire forze a noi sconosciute che succhiano le nostre emozioni e indirizzano i nostri desideri è un’angoscia tipicamente novecentesca ben rappresentata dal saggio di Vance Packard, I persuasori occulti del 1957 e dal romanzo di Eric Frank
Russell, Schiavi degli invisibili del 1939 che ebbero un notevole successo di pubblico.
(9) F. Guattari, Caosmosi, Mimesis, Milano, 2020, p. 97
(10) https://www.doppiozero.com/guattari-il-corpo-infine