“Sei una rondine o una volpe?” Le volpi vengono selezionate per uno stage, invece Chiara è una rondine, sfreccia veloce con il suo zaino termico sulle spalle per le vie della Capitale: zona uno, due barche di sushi; zona quattro, sei pizze; zona otto, dodici piadine. Più pedala, più consegna, più ottiene punti, conteggiati sulla app della società Envoyé, che promette ai suoi dipendenti totale libertà – per smettere di lavorare basterà mettersi in modalità offline – coinvolgendoli di fatto in una dipendenza psicologica ed economica devastante, fatta di piccoli giochetti ricattatori sulla base di una competitività che giova solo all’azienda, mentre le “rondini” vengono risucchiate nel vortice sfibrante di un lavoro senza tutele e senza orari, con l’unica prospettiva di riuscire a racimolare, attraverso infinite consegne, di che pagare l’affitto di una stanza nell’agognata capitale.
Per Chiara, laureata in filosofia e arrivata in città con il sogno di iniziare a collaborare con qualche rivista o casa editrice, la stanza è in realtà poco più di uno sgabuzzino con affaccio sul cavedio interno, sgabuzzino peraltro condiviso con l’ex inquilina che avrebbe dovuto lasciare il posto per cui Chiara paga l’affitto, ma che invece resta lì, sdraiata su un materassino gonfiabile a guardare video di persone che mangiano, senza mai uscire di casa.
Chiara invece è sempre fuori, corre, accumula punteggio, cerca di non pensare. Di non pensare a casa, dove ha lasciato una madre e una sorella disabile dopo che il padre se n’è andato, di non pensare alla solitudine, ai sogni infranti. Chiara pedala e pedala, fino a che strani fatti cominciano ad accadere nella capitale: le rondini si ritrovano al centro di notizie da cronaca nera e, mentre il clima si fa sempre più cupo e teso, la ferrea disciplina di Chiara inizia a sgretolarsi, lasciando affiorare domande sepolte dal peso immane della fatica. Il suo corpo sanguina e dimagrisce, ma la sua mente si affolla di tutte le paure e i sentimenti che aveva cercato di tenere lontano, anestetizzandole nella sfrenata corsa delle consegne.
Natalia Guerrieri, già vincitrice nel 2021 del premio Zeno Romanzi Editi per il suo Non muoiono le api (Moscabianca Edizioni), racconta con uno stile ruvido, dal ritmo serrato, la muta disperazione di una generazione a cui era stato promesso che sarebbe bastato impegnarsi per riuscire, che i sogni si sarebbero realizzati con il duro lavoro e l’impegno. Lo scontro con la realtà è un impatto fortissimo, in cui Chiara, che pur già aveva conosciuto durante l’infanzia il significato delle difficoltà, rischierà di soccombere, disposta a un crescendo di disagio e umiliazioni dettate da un lato dalla necessità economica, dall’altro dall’incancellabile desiderio di sentirsi sempre dire “brava”, dal professore di laurea come da Mario, il supervisore delle consegne con cui comunica solo via messaggio.
Le pagine di Sono fame corrono veloci come la loro protagonista, ma depositano nel lettore un segno duraturo d’inquietudine, un’esortazione a riflettere sulle forme estreme di sfruttamento, per lo più invisibili, verso cui si sta avviando la società in cui viviamo, i paradossi – mai ripetuti a sufficienza – di un mondo che non ha più spazio né tempo, e dove la lotta per la sopravvivenza invade anche i territori sociali che se ne ritenevano immuni. Quello narrato da Natalia Guerrieri è un universo crudele ed estremo, che soffoca ogni tentativo di redenzione, dove il solo possibile riscatto sembra provenire dalla resa. Ma è attraverso narrazioni come questa, di una forza quasi ridondante, a tratti respingente, che possiamo fare luce su aspetti della società che, per indifferenza o convenienza, siamo soliti ignorare.