Narine Abgarjan / Quattro donne e un uomo

Narine Abgarjan, Simon, tr. Claudia Zonghetti, Francesco Brioschi Editore, pp. 352, euro 20,00 stampa, euro 7,99 epub

Sembra prendere le mosse dalle atmosfere filmiche de L’uomo che amava le donne di François Truffaut l’ultimo romanzo di Narine Abgarjan, laconicamente intitolato Simon. È la stessa scrittrice di origine armena, ma da tempo residente in Russia, a fornire un indizio al riguardo, citando esplicitamente il maestro della Nouvelle Vague nella seconda parte del libro. Entrambe le opere iniziano con una perdita. Un uomo è morto, e le donne che lo hanno amato lo ricordano in un itinerario a ritroso che chiama in causa la dicotomia irrisolta di un amore che si vorrebbe definitivo e che, per quanti sforzi si facciano, vive di precarie incarnazioni. Non a caso viene chiamato in causa Truffaut, cineasta naturalmente portato a scandagliare l’animo femminile con istintivo acume. Bertrand Morane, l’uomo che amava le donne, è in realtà un solitario che trova nella scrittura e nella narrazione l’unica maniera per affermare la propria individualità. Il suo approccio all’amore, che egli sommamente teme, è indiretto. Il godimento diviene un fatto estetico, che con i sentimenti ha poco a che vedere. Tutto il contrario di Simon, il protagonista del romanzo. Questi ama le donne “fino a consumarsi”. Sono loro a tenerlo in vita. La sua inaspettata irruzione nelle loro esistenze, segnate da esperienze oltremodo dolorose, è quasi catartica. La sua sensualità schietta gli permette di scaldare il cuore del sesso femminile. Quattro donne si presentano al suo funerale (molte di più accorrevano al capezzale del defunto Bertrand), quattro figure delle quali Abgarjan ci mostra il tormentato percorso esistenziale.

L’azione si svolge nella cittadina di Berd, situata in prossimità del confine con l’Azerbaigian. Le vicende storiche scorrono sullo sfondo, facendo balenare le tragedie alle quali è stato esposto il popolo armeno. Quello che interessa realmente all’autrice è però l’animo delle sue protagoniste, la loro umanità incrinata da profonde debolezze. L’incontro con gli uomini è spesso traumatico. Spetta a Simon il compito di svelare il lato toccante e schietto dell’emotività. Pur nella sua condizione di uomo sposato, questi riesce a eludere lo squallore che solitamente ammanta le relazioni clandestine, facendo balenare per un istante il fantasma di una promessa irrealizzata. Il destino, con mosse capricciose, sembra divertirsi a scompaginare le vite degli uomini, rendendo impossibile una duratura felicità.

La scrittura della Abgarjan mostra una impaginazione dal taglio piuttosto tradizionale, ma riesce comunque a sedurre il lettore in termini di scorrevolezza e levità. L’uso di alcuni luoghi comuni, a esempio la descrizione degli Stati Uniti come Paese buono e generoso per gli immigrati, immagine che non avrebbe certo appagato il ben più caustico Henry Miller, risulta funzionale alla narrazione. Nell’ampia ritrattistica femminile che anima il microcosmo di Berd trovano posto Vardanuš Occhistorti, una povera pazza dedita ad aiutare il prossimo, accanto a Melan’ja, la moglie del protagonista, costantemente impegnata ad arginare l’esuberante vitalità del focoso consorte. Al dato concreto, certo radicato nell’esperienza di Abgarjan, si unisce un tono fiabesco nel quale si stemperano anche le tragedie più profonde, un sottile umorismo che esorcizza il dolore e la morte. In quest’ottica il funerale di Simon non è un evento tragico, ma un’occasione per riannodare fili che altrimenti risulterebbero dispersi. L’odore del mare che esala da una misteriosa forra, odore impossibile in quanto assente dal panorama armeno, rappresenta il lato misterico dell’esistenza, il desiderio che muove e dona senso alle vite degli uomini.