La ricchezza poetica, espansa da Nanni Cagnone negli ultimi anni, prevede decisioni della mente e del corpo che hanno pochi eguali nei decenni appena trascorsi colmi di facezie e storielle lasciate andare dal Novecento che non si dà per vinto di tirare le cuoia. Nella “storia vera” del nostro poeta, narrata nella dilettevole biografia pubblicata dall’emerita quanto nascosta editrice Coup d’Idée di Enrica P. Dorna, Dites-moi monsieur Bovary, vi si raccolgono cose e persone “inevitabili”, oggetti e faune di cui Nanni ha fatto talmente a meno da meritare l’ostracismo editoriale di coloro che preparano collane di poesia al seguito di capuffici che credono solo nei manuali di avviamento professionale utili a chi rincorre il “genere poetico” dimostrando la sensibilità di un sasso.
Non si era messo in salvo, Cagnone, fondando la casa editrice Coliseum (ultimo tempo degli anni Ottanta), ma aveva sontuosamente mostrato di cosa è capace la letteratura lasciando ad altri la smania di originalità, e ricorso all’adunata della propria poesia nel ventre multimillenario della parola necessaria. Una sacrale e (talvolta) beffarda opposizione al senso dai più rincorso perché per questi ha sempre valso il soggiorno in acque placide e monolocali attrezzati. Una storia che conta ventidue libri dagli anni Settanta a oggi (oltre una decina nell’ultimo decennio) e una sfidante traduzione diffusa nei corpi di Eschilo, Parmenide, Hopkins.
Anche in quest’ultima opera le mani affondano in orgogli e ricchezze affettive che comprendono oggetti domestici e selve, sottoboschi e radure intorno, con fisionomie e nomi (quando ci sono) che possono contribuire alla causa del mondo, o almeno potrebbero accorgendosi dell’esistenza di un poeta che onora le cose oscure. Cagnone sa d’essere straniero e respinto nell’attuale realtà ma non vuole rendersi discreto e opaco, ma prende le migliori parole, alla fine, le prende e le sfodera contro chi restringe le cose. Ligure di posti dove non c’è il mare, come i liguri non oscilla ma tira dritto seguendo le varianti d’altura, la famigerata “verticalità” di una regione e di una città votata al silenzio come Genova. Il silenzio costa. Molto più del parlare e del tacere. A chi disapprova il lessico del passato, Cagnone si rivolge subito gelando gli intenti risentiti: né rigattiere né reporter, ma colui che si prende cura della poesia, che è “insuperata scomodità della logica, e congenitamente ostile”. Uomo che reclama il suo diritto all’erranza: “Ora sono fra i miei, / degno d’esilio”.