Non ho letto il romanzo (Capelli, lacrime e zanzare) precedente di Namwali Serpell. Ho visto che in rete se ne è parlato parecchio, ma non sono andata a leggere nulla. Deliberatamente. Mi piace leggere i libri così, senza saperne nulla. Senza pregiudizi, vorrei dire, e senza aspettative. Un po’ come mi sembra succedesse una volta, quando i libri si prendevano in libreria, e sì è vero che c’erano le recensioni sui giornali, ma eravamo un po’ meno dipendenti dalle valutazioni degli altri e ci fidavamo di più del nostro istinto, del nostro fiuto. Almeno io. C’era anche l’effetto della copertina. Vista dal vivo e toccata. Questa per esempio è molto bella. A prima vista è serena e lineare. Però poi guardata bene risulta inquietante. E del resto Tra le onde è libro al contempo inquietante e rasserenante. Innanzitutto perché è un romanzo che è come se fosse più romanzi, tre romanzi per la precisione, e il passaggio dall’uno all’altro è totalmente improvviso e imprevisto. Forse come succede tra le onde, che non sono mai uguali e ci colgono sempre di sorpresa. E di certo come succede nella vita, che appena ti sei messo tranquillo e pensi di poter navigare con la bonaccia, ecco che si alza il vento e si ricomincia a rollare.
“Non voglio dirti cos’è successo, voglio dirti cosa ho provato”. La voce narrante che nella prima parte racconta la scomparsa del fratellino Wayne, presumibilmente morto annegato ma di cui non è mai stato ritrovato il corpo, è quella di una ragazzina. Cassandra. C’era lei con Wayne, è stata lei a prenderlo tra le onde per portarlo a riva, è stata lei a non trovarlo più. Il suo percorso di incredulità e dolore, le reazioni dei genitori e delle due nonne, l’impossibilità di dimenticare e di venire a patti con l’accaduto ci arrivano in modo toccante, commovente, avvolgente.
Poi bruscamente e del tutto inaspettatamente la storia passa nelle mani di un altro protagonista e assume un tono cupo e misterioso: seguiamo un Wayne che non è il fratello scomparso ma magari potrebbe esserlo, un Wayne inseguito da un altro Wayne e condannato per i reati commessi dall’altro Wayne, che non resta mai sulla scena del crimine e che dà al racconto un sottotono di ghost story. Altrettanto bruscamente e inaspettatamente ci troviamo in un territorio luminoso e arieggiato, di fronte a una storia d’amore sorprendente per i suoi protagonisti quanto per noi lettori. Una storia d’amore poetica e quasi romantica. Una storia d’amore improbabile per Cassandra e per Wayne e per loro insieme. Che d’altro canto l’amore è sempre improbabile.
Sotto questa trama intricata e disorientante ci sono le relazioni tra bianchi e neri, il destino di dove si nasce, le disuguaglianze sociali e la loro persistenza. Ci sono dei neri e dei bianchi, e il tentativo di mescolanza e integrazione è destinato al fallimento, come nella realtà o forse ancora più che nella realtà, che peraltro sta in relazione ambigua e stridente con la finzione.
Se le relazioni sociali, etniche, razziali, economiche, sono delle relazioni necessariamente definite fuori da noi, da una società che le rende facili o impossibili ma che è sempre altro da noi, realtà e finzione, verità e finzione sono molto più difficili da distinguere. La finzione è anche la narrazione che ognuno di noi fa di sé e per sé, e la fa a partire dall’esterno, ma andando poi a collegare i fatti e gli accadimenti seguendo nodi e snodi intimi e personali e irripetibili. Quando c’è una scomparsa, un’assenza, una morte, queste possono essere vissute come definitivi e discriminanti; c’è un prima e c’è un dopo, li si accetta e la vita va avanti, ci si convive, non è come prima ma è pur sempre vita. Oppure la stessa scomparsa, (assenza, o morte) può diventare oggetto di mistificazione, illusione, può venire posposta indefinitamente, insomma essere variamente soggetta agli inganni della mente, che si autoalimentano e finiscono per avere una loro realtà. Così che la vita non va avanti, o meglio va avanti e indietro, strappi in avanti e ripensamenti.
Per ragioni diverse i protagonisti si trovano a vivere e crescere in quella terra di mezzo in cui il confine tra realtà e finzione è strappato e poco chiaro. Operazione difficile se non impossibile. Per uscirne si può solo fare un salto e sperare che al di là del salto ci sia del terreno solido. Per fortuna, in questo bel romanzo il terreno solido c’è. E così lasciamo la lettura, che avevamo cominciato con dolore e commozione e paura, la lasciamo in uno stato d’animo ottimista e leggero, pieno di speranza. Che sia anche questo effetto della finzione, che davvero si possa, con coraggio e prontezza, atterrare nell’amore o nella sua elegia, è una bella questione a cui nessuno può dare risposta. Ma possiamo immaginare delle possibilità, e questa è una bella promessa, un bel lascito.