1984
Al Bano e Romina Power vincono il Festival di Sanremo, alle elezioni europee il PCI prende il 33,3%, la DC il 32,9%, Bettino Craxi e il cardinale Agostino Casaroli siglano il nuovo concordato tra Italia e Santa Sede e nasce l’otto per mille, Orwell grazie a dio era già morto.
Io avevo 11 anni e me ne mancavano altri 5 prima di cominciare a frequentare brutte compagnie.
A S. Giorgio di Nogaro (Udine), nel novembre dello stesso anno, arrivò Murray Bookchin.
Indossava un cappotto marrone a coste, il suo solito basco, era già sessantenne, occhi vispi con il suo usuale sorriso, appena accennato.
Ad accoglierlo e ospitarlo furibondi anarchici friulani, gli stessi che stavano già da tempo sviluppando un’analisi sui temi cari al filosofo del Vermont, con molte invettive originali a partire dalle proprie specificità territoriali.
Al documento redatto dagli anarchici locali, per il seminario di S. Giorgio, Bookchin rispose in una sua lunga disamina con questo incipit: “Non trovo le parole per congratularmi con i compagni. Vengo da quello che si chiama il Centro dell’Anarchismo in Europa, ma non ho mai visto un documento così finemente redatto in vita mia. In altre parole penso che questo documento possa essere fatto anche in una zona lontana dal centro e non riesco a complimentarmi in modo sufficientemente completo con i compagni che hanno lavorato alla stesura.”
Riavvolgiamo il nastro.
Chi è Murray Bookchin?
No no che noia, facciamo il contrario e mettiamo la puntina del giradischi sul lato B del disco all’ultima canzone, kobane calling …che non è una canzone dei Clash!
Il Rojava è una regione del Kurdistan, uno di quei paesi che non esistono (che non debbono esistere soprattutto) ma che sono abitati da qualche milione di persone, si sarebbe detto una nazione senza stato qualche decennio fa.
Oggi è una regione autonoma de facto nel nord e nord-est della Siria, ovviamente non riconosciuta dal governo siriano, figuriamoci da quello turco e dal resto del mondo a cui generalmente non frega nulla di lotte di liberazione che non comportino laute prebende.
Ci abitano in buona parte i kurdi, o curdi, ma soprattutto le curde, da qualche anno icone mediatiche di gran lustro, guerrigliere fighe! come piace al mainstream occidentale.
Kobane è il simbolo di un’esperienza unica di questi ultimissimi anni, questa cittadina è passata sotto il controllo delle unità di difesa del movimento confederalista curdo (PYD) le Yekîneyên Parastina Gel (YPG) dal luglio 2012 e nonostante diversi tentativi da parte dello Stato Islamico (IS) di prendersi la città a tutt’oggi rimane in mano al Confederalismo Democratico. Dopo migliaia di morti ovviamente, contabilità rituale in quell’area martoriata conosciuta come Medioriente.
Ed è qui, adesso, che cerchiamo di fare un po’ di chiarezza su chi fosse Murray Bookchin, perché dalle montagne del New England (USA), passando anche per la bassa friulana, è successo che i libri dell’ecologo, figlio di immigrati russi di origine ebraica, sono passati sotto le mani di un carcerato.
Non un carcerato qualsiasi. Ma di un “terrorista” (…certo che anche Al Bano): Abdullah Öcalan. Unico detenuto dell’isola-prigione di İmralı in Turchia, sconta l’ergastolo dal 2002 dopo che la sua pena di morte è stata commutata in carcere a vita.
Catturato a Nairobi, in Kenya, il 15 febbraio del 1999 (passando in Italia chiese asilo politico ma l’ineffabile D’Alema gli mostrò il dito seppur con dolcezza), fu condannato nel 1999 per attività separatista armata, considerata come terrorismo da Turchia, Stati Uniti e Unione europea.
A capo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) Öcalan tentava, fino al suo arresto, di fare quello che centinaia di gruppi armati M-L (marxisti-leninisti) sparsi nel mondo facevano: conquistare il potere con un colpo di stato in nome della liberazione nazionale.
Poi l’isolamento e giù a studiare e smazzarsi letture su letture fino all’incontro con l’ecologia sociale di Bookchin: una vera e propria illuminazione!
Per Öcalan quanto scriveva il fondatore dell'”Istituto per l’Ecologia Sociale” a Plainfield (1971) era inscritto nel DNA del popolo curdo, il rapporto con la propria lingua negata, con il grande territorio sparso e disperso tra la Turchia, l’Iraq, l’Iran e la Siria, nelle relazioni e ruolo delle donne nella società curda.
Con Bookchin ha intrattenuto un proficuo rapporto epistolare ed è innegabile che questo rapporto abbia influenzato il suo progressivo abbandono delle posizioni marxiste-leniniste e nazionaliste del PKK imprimendo al movimento curdo una svolta libertaria.
Scriverà Öcalan: “La mia idea di confederalismo democratico è […] complessiva. Per me significa l’organizzazione autonoma democratica della società senza rivendicazione del potere”.
Per questo a Kobane, nel Rojava e in tutto il Kurdistan si sta tentando di realizzare un “confederalismo democratico” basato sulla democrazia diretta, su un’economia solidale ed ecologica e sull’emancipazione delle donne.
D’altra parte se per Bookchin il comunalismo, o municipalismo, riguarda una complessa trasformazione radicale della società in chiave ecologica, solidale e democratica dove l’abbattimento del patriarcato è centrale nel processo di trasformazione, in assenza di stato, così oggi l’esperimento del Rojava appare il più vicino a questa “teoria” sociale e politica. Ma non l’unico tentativo.
Di canzoni con lo stesso sound ne troviamo molte. Non troppo tempo fa, ed ancora in corso, c’è stata la cosiddetta rivoluzione zapatista, nel Chiapas.
Più resistenza che rivoluzione, forma di autogoverno, intreccio di indigenismo e socialismo, approccio ecologista e femminista, metodo libertario e solidarietà internazionale ha molto in comune con quanto successo più recentemente in Rojava così come in fondo si connettono tutte con altre esperienza storiche di trasformazione sociale, tentate in Spagna nel ‘36 o in Ucraina nel ‘18 (Makhnovicina) del secolo scorso, solo per citarne due. Connessioni certamente, altra storia e altri riferimenti ci mancherebbe.
Adesso rimettiamo il lato A del disco, siamo a mezza via, un rhythm and blues per capirsi.
Janet Biehl, anarchica e femminista, compagna di Bookchin, in un opuscolo di recente fattura che è in realtà la trascrizione di una sua relazione ad Amburgo nel 2012, prova a fare un sunto della storia politica di Bookchin: “era stalinista, poi divenne trotzkista e infine incontrò quegli ingrati degli anarchici”.
Non è una citazione letterale ma il senso è questo, perché gli americani, quelli del nord, non vanno di lana caprina e sostanzialmente un comunista o è stalinista o trotzkista e morta lì.
Il fatto è che davvero Bookchin tentò di organizzare sommosse in fabbrica, da adolescente negli anni ‘30 con il Partito Comunista Americano (da cui venne espulso), poi lavorando in fonderia e organizzando gli operai per la rivoluzione quindici anni dopo, perché da trotzkista pensava che la seconda guerra mondiale si sarebbe conclusa con la rivoluzione socialista proletaria in Europa e negli Stati Uniti.
Finita la guerra sappiamo che qualcosa è andato storto.
Murray rinnegò il marxismo con un pezzo durissimo: “Il marxismo come ideologia borghese”.
Era il 1979 ma da vent’anni stava maturando uno suo percorso di analisi e scritti che avrebbero gettato le basi per la sua visione olistica del “tutto è più della somma delle parti”.
Il suo avvicinamento al socialismo libertario avveniva già alla fine degli anni cinquanta, dopo intense collaborazioni con il Movement for a Democracy of Content, guidata dal esule tedesco Josef Weber, che pubblicava la rivista Contemporary Issues – A Magazine for a Democracy of Content e dove compariranno diversi suoi scritti.
Tra gli anni ‘70 e ‘80 usciranno molti suoi libri, tradotti in italiano più tardi e non tutti, tappe fondamentali del suo pensiero, da I limiti della città (Feltrinelli, 1975) a l’imprescindibile Post-Scarcity Anarchism. L’anarchismo nell’era dell’abbondanza. (La Salamandra, 1980) dal più letto e ripubblicato L’ecologia della libertà, emergenza e dissoluzione della gerarchia (edizione Antistato, 1984, Elèuthera, 1986) a Democrazia diretta (Elèuthera, 1993).
Per Bookchin l’ambientalismo, il “verdismo” sono dapprima inefficaci per poi diventare persino parte del problema, cioè del capitalismo. Le sue critiche potrebbero essere ben riassunte in pèso el tacòn del buso:
“Non dimenticherò tanto facilmente la mostra “ambientalista” organizzata negli anni ’70 dal Museo di Storia Naturale di quella città [New York], con una lunga serie di scenografie che mostravano al pubblico esempi di inquinamento e distruzione ecologica. L’ultima di esse, quella che concludeva la mostra, portava l’incredibile titolo “L’animale più pericoloso della Terra”, e consisteva unicamente di un grande specchio che rifletteva l’immagine del visitatore che si fosse trovato a sostare di fronte ad esso.
Ho ancora in mente l’immagine di un bambinetto nero che guardava lo specchio, mentre il suo maestro bianco cercava di spiegargli il messaggio che l’arrogante scenografia tentava di comunicare. Non c’erano scenografie rappresentanti gli staff dirigenziali delle industrie che decidono di disboscare montagne intere o funzionari governativi che agiscono in collusione con essi. Il messaggio della rappresentazione era uno solo, fondamentalmente antiumano: sono gli individui come tali, non la società rapace e coloro che ne beneficiano, ad essere responsabili degli squilibri ecologici, i ceti poveri tanto quelli ricchi, la gente di colore non meno dei bianchi privilegiati, le donne non meno degli uomini, gli oppressi non meno degli oppressori. Una mitica “specie umana” rimpiazza così le classi, gli individui rimpiazzano le gerarchie, i gusti personali (molti dei quali sono modellati dai media) rimpiazzano i rapporti sociali, e i diseredati che vivono magre ed isolate esistenze rimpiazzano le multinazionali, le burocrazie aggressive e le manifestazioni violente dello Stato.”
E, ancora, a proposito delle diverse meccaniche e dei sistemi di dominio che abitano le gerarchie sociali:
“Ho sempre pensato che ecologia fosse sinonimo di ecologia sociale e perciò ho sempre nutrito la convinzione che la stessa idea di dominare la natura derivi dalla dominazione dell’uomo sull’uomo, o dell’uomo sulla donna, del vecchio sul giovane, di un gruppo etnico sull’altro, dello stato sulla società, della burocrazia sull’individuo, così come di una classe economica sull’altra e dei colonizzatori sui colonizzati. […] se non interverremo modificando anche i rapporti molecolari all’interno della società – e cioè quelli tra uomo e donna, tra adulti e bambini, tra gruppi razziali diversi, tra etero e omosessuali (l’elenco potrebbe continuare a lungo) – il problema della dominazione resterà immutato anche in una forma sociale “senza classi” e “senza sfruttamento”. […] Finché durerà la gerarchia e finché la dominazione organizzerà l’umanità in un sistema elitario, l’obiettivo del dominio sulla natura non verrà mai abbandonato e condurrà inevitabilmente il pianeta all’estinzione ecologica.” (Per una società ecologica, Elèuthera, 1989)
Ma Murray Bookchin non se le suona e non se le canta.
Nell’arco della sua lunga vita, morirà il 30 luglio 2006 all’età di 85 anni, oltre a studiare e scrivere molto, oltre a girare il mondo per divulgare il suo pensiero e confrontarsi con il vasto arcipelago della sinistra nelle sue più svariate anime, ha sempre cercato una qualche forma di attuazione del suo lavoro.
Negli ultimi anni ha cercato in prima persona assieme ad attivisti e collaboratori questo riscontro. Il municipalismo libertario è stato, a partire da metà degli anni ‘80, declinato in vari modi da realtà non del tutto organiche; se solo una parte dell’anarchismo (una modesta parte) ha accettato di confrontarsi con il suo portato teorico nel tentativo di svecchiare il background tradizionale cioè ideologico del movimento (in particolare in Europa), altri gruppi, realtà ma anche comitati di stampo ambientalista ancor più ecologista hanno provato ad agirlo politicamente.
In seno all’anarchismo, municipalismo libertario significava contropotere, fuori dall’anarchismo ha invece significato decentralizzazione, federalismo in senso classico, democrazia diretta così come possiamo comprenderla anche oggi.
Senza andare troppo lontani possiamo pensare ad un esempio anarchico di municipalismo l’esperienza di Spezzano Albanese. È uscito da pochissimo un bel libro di Tiziana Barillà Quelli che Spezzano. Gli arbëreshë fra municipalismo libertario e anarchia (recensito su questa rivista) che ne racconta le gesta, dove nel 1992 si costituirà la Federazione Municipale di Base coinvolgendo in modo ampio la popolazione del piccolo comune calabro. Se dovessimo invece riferirci alla fronda più larga del municipalismo potremmo immaginare liste civiche movimentiste che nell’entrismo istituzionale localmente han cercato di legarsi alle vertenze sul territorio di comitati, centri sociali rimettendo al centro la comunità in polemica con lo stato.
Adesso parte il pezzo blues.
Bookchin non voleva fare la fine di un Marx o di un Bakunin, dove nessuno di loro in vita vedrà mai alcuna rivoluzione di massa insistere e provare a rovesciare lo stato di cose presenti sulle macerie di quel passato, morendo allo stesso tempo padri e orfani delle proprie idee. Bookchin qualcosa voleva vederlo, o almeno annusarlo, diventò capriccioso. E la rottura col movimento anarchico non fu che la conseguenza di queste diverse concause.
Ammetto che fu una sfiga.
Janet Biehl non ha capito però che non è ingratitudine o stronzaggine (vabbè stronzaggine un po’ si) ma che gli anarchici diffidano sempre del potere anche quando è maggioranza, preferiscono il consenso, il dissenso e l’affinità come pratiche.
Nei bassi monti vicino a me, a poco più di 400 mt dal livello del mare c’è Andreis.
Ad Andreis nacque un poeta, un anarchico, tal Federico Tavan e tra le tante cose scritte una affronta il tema come poche: “Non avete ragione. Siete maggioranza.”
Era il 2011, due anni dopo ci lasciò. Ah, Tavan frequentava quei furibondi anarchici friulani nei primi anni ‘90. Quelli che hanno ospitato Murray Bookchin nel 1984.
Il disco è finito, adesso ci conviene cominciare a ballare.