La più recondita memoria degli uomini, del poco più che trentenne Mohamed Mbougar Sarr, vincitore del premio Goncourt 2021, è un romanzo labirintico, un mosaico in cui si intrecciano e rifrangono più piani di lettura e che apre al lettore altre storie. Il protagonista del romanzo è un giovane scrittore senegalese, Diégane Latyr Faye, che vive in Francia. È brillante, sapiente e inquieto, ha già scritto un libro del quale non è molto soddisfatto. Per caso legge una copia de Il labirinto del disumano, vero e proprio romanzo maledetto e dimenticato. L’autore – anche lui un senegalese dal misterioso nome (T. C. Elimane) – dopo un clamoroso ma fugace momento di gloria, accusato di plagio, nel 1938 scompare, mentre il suo romanzo viene ritirato dal commercio. Latyr Faye, sopraffatto e ammaliato dalla lettura, inizia una ricerca ossessiva per dare un volto e ricostruire la storia di T. C. Elimane. Le tracce del “Rimbaud negro” si espandono dalla Francia all’Olanda, Argentina e infine in Senegal. Durante questa ricerca Latyr Faye incontrerà molti personaggi che hanno conosciuto di persona o solo per sentito dire lo scrittore del quale a poco a poco riesce a ricomporne la figura che però resta sempre sfuggente e giustapposta come in un quadro di Braque.
Ci sembra una storia già letta e in effetti è così perché c’è una evidente e sottolineata relazione fra il romanzo di Mbougar Sarr e I detective selvaggi di Roberto Bolaño (1998) in cui i due poeti realvisceralisti Arturo Belaño e Ulises Lima e si mettono sulle tracce della sfuggente poetessa Cesárea Tinajero, considerata l’ispiratrice del movimento letterario. Ambedue i romanzi sono una sorta di spy story, genere di cui colgono con grande felicità le caratteristiche di attesa e velocità di lettura, che si interrogano sul potere della letteratura, sul ruolo e il corpo dell’autore, sull’esilio e il rapporto fra realtà e finzione, l’intertestualità, a cui Mbougar Sarr aggiunge il confronto che uno scrittore nato in Africa intrattiene con le proprie origini, la colonialità e la grande letteratura francese. Ambedue i romanzi sono alla ricerca di “(…) un’altra storia della letteratura (che forse è la vera storia della letteratura), quella dei libri perduti in un corridoio del tempo, neanche maledetti, semplicemente dimenticati, (…)”
A sottolineare il gioco letterario della ripetizione e variazione da un palinsesto dato, il titolo del romanzo di Mbougar Sarr è preso di peso da una citazione di I detective selvaggi, riportata all’inizio del libro che si conclude con le parole la più recondita memoria degli uomini.
I detective selvaggi sono il romanzo di due perdenti, come solo gli uomini della generazione degli anni ’70, con tutta la ribellione strafottente ma anche l’understatement e la malinconia ironica, che li ha caratterizzati, hanno saputo essere. La vita di C. T. Elimane, invece, sembra fin troppo stereotipata e quasi comica che tali appaiono la sua immersione nel mondo intellettuale e libertino francese, la sua fuga in Brasile, la stessa amicizia con Gombrowicz e Sábato, qualche piccola azione nella resistenza francese. E ancora: se della poetessa tanto ricercata da Belaño e Limas a noi lettori è consegnata solo una poesia grafica, del romanzo di Elimane leggiamo solo l’incipit.
Messa così sembra quasi una partita persa questa di Mbougar Sarr col cileno, ma inaspettatamente il romanzo apre la porta a qualcosa di reale e stupefacente, per il lettore italiano una indubbia sorpresa. Si tratta della vita e dell’opera dello scrittore maliano Yambo Ouologuem (1940-2017) a cui il libro è dedicato. Autore poliedrico e sperimentatore di generi e stili eterogenei – dalla raccolta epistolare Lettre à la France nègre (1969), un’aspra critica del paternalismo francese nei confronti delle colonie, all’enciclopedia pornografica Les mille et une Bibles du sexe (1969) -, Ouologuem diventa famosissimo nel 1968 quando a ventotto anni pubblica il suo primo e controverso romanzo Le devoir de violence, grazie al quale è stato il primo africano a essere insignito del Prix Renaud.
L’uscita di Dovere di violenza (non a caso nel 1968) è stata dirompente in Francia per la qualità letteraria dell’opera e perché ha aperto la strada a una nuova letteratura post-indipendenza più onesta e coraggiosa, che ha contribuito a demistificare la visione del passato precoloniale africano idealizzato dai miti della négritude rappresentata dal poeta e primo presidente del Senegal Leopold Senghor che all’epoca disse “Non nego il suo grande talento […]. Non voglio usare una parola dura, quando vedi dei negri perché li devi chiamare per nome, che hanno successo letterario e dicono ai bianchi ciò che piace ai bianchi, e che non osano affermare la loro fede nella loro etnia, nelle loro idee. Non si può fare un lavoro positivo quando si rinnegano tutti i propri antenati”[1].
A mezzo secolo dalla pubblicazione di Dovere di violenza il tema non è più così lacerante ma è giusto ricordare che lo stesso Mohamed Mbougar Sarr è stato criticato: accusato di dare una visione razzista dei neri e da certa critica senegalese di aver difeso l’omosessualità (De Purs Hommes, 2018) e scritto del Senegal in modo poco indulgente.
Evidentemente uno scrittore di origine africana non può mai prescindere dalle proprie origini con cui deve sempre fare i conti. Ne è convinto Musimbwa, amico del protagonista di La più recondita memoria degli uomini e “ex detentore del titolo di ‘giovane e promettente scrittore africano’” che decide di lasciare la Francia e di vivere in Africa. In una lunga lettera dopo la descrizione di una scena cruentissima – sul modello di molte scene di Diritto di violenza – che rappresenta il lascito luttuoso della sua famiglia, scrive che il valore del libro di Elimane sta nella prescrizione etica che rivolge agli scrittori africani: “non guarire noi stessi, non curare, consolare, tranquillizzare o educare gli altri, ma tenerci eretti nella ferita sacra, vederla e mostrarla in silenzio. Secondo me è questo il significato del Labirinto del disumano. Tutto il resto si è rivelato uno scacco.“ L’idea di scrivere un capolavoro, di mostrare l’energia creativa del mimetismo e del suo erudito ma vuoto esercizio stilistico, la conoscenza straordinaria e l’omaggio alla grande letteratura svilita a volgare plagio, “tutte le garanzie culturali della bianchitudine”, offerte da T. C. Elimane hanno ottenuto solo che venisse rispedito nella sua “negritudine”. Il successo più diabolico della colonizzazione è che semina nei colonizzati “il desiderio di diventare ciò che li distrugge. Ecco cos’è Elimane: la tristezza dell’alienazione.”
Latyr Faye invece decide di tornare a Parigi perché convinto che l’ambiguità sia lo spazio che gli è concesso e deve abitare e scrivere “da bastardi della civiltà, bastardaggine della bastardaggine, bastardi nati dallo stupro della nostra storia da parte di un’altra storia assassina”.
La vicenda di Ouologuem risuona per noi italiani particolarmente attuale. Penso al linciaggio mediatico che da qualche mese affligge il sindacalista italiano di origine ivoriana Aboubakar Soumahoro. A tutti e due non viene perdonato di aver occupato un posto che in definitiva non era il loro e per di più di averlo fatto senza una deferente e servile umiltà. L’interstestualità, che è uno dei tratti distintivi della moderna letteratura e che lo stesso Mbougar Sarr in questo romanzo usa apertamente con sapienza e provocazione, immediatamente è diventata nel caso di Ouologuem semplice e volgare plagio che lo ha scaraventato fuori dalle lettere francesi. Soumahoro ha il torto di essere entrato in parlamento nell’identico modo sans phrase con cui ogni uomo politico italiano entra in parlamento da quando il sistema dei partiti e della rappresentanza è in crisi; ma quel che è concesso a tutti a lui non è concesso, il curriculum politico deve essere impeccabile e da destra e sinistra si arriva all’incredibile di trattarlo da imputato e chiedergli prove della sua innocenza.
Cosa rimane andando ai resti? La linea del colore e l’audacia o ingenuità di credersi uguali. Per citare Ouologuem “È bello essere primitivi, sì, ma è imperdonabile essere primitivi” (prefazione a Les mille et une Bibles du sexe).
Forse, la cosa più notevole del romanzo di Mohamed Mbougar Sarr è il fatto che coinvolge il lettore in una appassionata ricerca simile a quella del suo protagonista. Cominciando da La più recondita memoria degli uomini si viene presi dalla voglia di leggere (o rileggere) I detective selvaggi e di mettersi alla ricerca di Dovere di violenza pubblicato in Italia dal Saggiatore nel 1970 e ora quasi introvabile.
[1] numero 33, marzo 1969, di Congo – Afrique con la ricostruzione della storia del libro di Ouloguem .