“Nessun romanzo può, per definizione, dire la verità, l’unica cosa che conta, la verità interiore della vita di colui che scrive.”
Solenoide, p. 231
Pubblicato in Italia a sei anni dall’edizione originale, e dopo più di un annuncio di data d’uscita, arriva finalmente nelle librerie la traduzione dell’imponente romanzo del rumeno Mircea Cărtărescu, quando già in patria (e in Francia) è uscito il successivo Melancolia. Prima, e forse scontata considerazione: valeva la pena aspettare tanto tempo. La traduzione di Bruno Mazzoni è elegante e suggestiva, e riesce a rendere struggenti quei passaggi del libro dove l’intensità della scrittura supera il virtuosismo e trasforma le parole in cristalli di grazia – complice forse anche la comune origine neolatina delle due lingue, che non costringe a stravolgere il ritmo delle frasi.
Solenoid rappresenta un anello di congiunzione tra i testi più brevi di Cărtărescu, come Travesti (1994) e i racconti di Nostalgia (1994), e il monumentale, seminale Abbacinante del quale abbiamo scritto su Pulp Libri: tutti pubblicati da Voland. Tale infatti appare Solenoide al lettore che ha affrontato le 1500 pagine di Orbitor, che non è unicamente una lettura bensì una vera e propria esperienza. Per certi versi Abbacinante e Solenoide si sovrappongono, e in questo senso il secondo può essere concepito come una versione più “commestibile” del primo. Quanto Abbacinante è anarchico, turgido, allucinato, rizomatico nel senso elaborato da Deleuze e Guattari, tanto si intuisce in Solenoide una pianificazione rigida, con anticipazioni e episodi che risuonano da un capitolo all’altro.
Si sa che i tre volumi di Abbacinante (L’ala sinistra, 1996, Il corpo, 2002, L’ala destra, 2007) sono lievitati lentamente, accompagnando per anni e anni la vita dell’autore – e la trilogia potrebbe essere interpretata come il racconto del suo stesso formarsi in quanto testo scritto, in quanto opera d’arte; adottando un criterio analogo, Solenoide è invece un’ucronia, il racconto di un presente alternativo, un mondo che a un certo punto ha preso a divergere dal nostro. E il punto di distacco non è un evento storico cruciale, come nelle ucronie più conosciute (l’Asse che vince la guerra mondiale, Napoleone che trionfa a Waterloo), bensì un fatto privato: la rovinosa accoglienza che i membri di un circolo letterario universitario riservano al protagonista, quando questi legge in pubblico il suo ambizioso poema La caduta.
Un episodio analogo è presente in Abbacinante, perciò presumo che abbia un solido fondo autobiografico, ma in Solenoide non è il primo passo dello scrittore Mircea verso il mondo dell’editoria: anzi, è un naufragio, un’esperienza così umiliante da cauterizzare per sempre le ambizioni del protagonista, che diventerà insegnante di lingue in un’oscura scuola di periferia. È il protagonista stesso a sottolineare questo aspetto:
“Lo scambio cruciale della mia vita è capitato allora, in quella misera aula, sotto quegli occhi impietosi. A quel punto mi sono spezzato in due, avvertendo la lacerazione come l’effetto di un colpo di sciabola sulla sommità del cranio, come una frattura della colonna vertebrale. Due esseri sono nati da quella seduta del cenacolo […] io, ironizzato e sconcertato, ho rinunciato per sempre alla letteratura. Sono diventato, dolorosamente conscio di ciò, un fallito, uno dei tantissimi, un umile, anonimo, intercambiabile professore di romeno in un mondo di cenere. Ma nello stesso decisivo istante è apparso anche l’altro, lo scrittore, l’uomo di successo, quello che per decenni avrebbe scritto poesie e romanzi a partire dalla nostra comune materia, il tronco dei venti anni durante i quali siamo stati una cosa sola.” [pag. 562]
Attenzione però: l’alter ego del protagonista “fallito” di Solenoide non è Cărtărescu, bensì l’altro Mircea, il protagonista di Abbacinante, perché questo romanzo è lo specchio distorto non del nostro mondo, ma di quello fantastico, stravolto e espressionista del romanzo precedente. Entrambi sono infatti ambientati in una Bucarest malinconia e fatiscente, permeabile allo sconfinamento di un universo non realistico, per certi versi mostruoso con le sue dimensioni impossibili, gli spazi dilatati, l’onnipresenza di un mistero indefinito e inafferrabile che distrugge l’ontologia del reale.
Anni fa, prima ancora di prendere in mano un libro di Mircea Cărtărescu, trovai tra le pagine di un volume trovato in uno scambialibri la cartina turistica di Bucarest con legenda in francese, risalente all’era socialista. Non prevedevo che mi potesse servire, ma raramente mi disfo di vecchie guide turistiche e delle mappe stravolte dalla storia. Su quella cartina c’è tutta l’ambientazione di Solenoide: il viale di circonvallazione Ştefan cel Mare; calea Floreasca dove il protagonista abita da bambino, prima del ricovero in ospedale del quale conserva solo vaghi ricordi e al quale attribuisce un’importanza cruciale (lo stesso tema è una delle rivelazioni del precedente Travesti, che racconta i turbamenti sessuali della preadolescenza); şoseaua Colentina, che conduce sulla strada per Costanza sul Mar Nero e rappresenta l’asse geografico del romanzo, dato che è in fondo a questo lungo viale che si trova la scuola dove insegna il protagonista; ancora, la via Maica Domnului dove acquista una casa dalle dimensioni interne incomprensibili, costruita per sé nell’era presocialista da un ingegnere che nelle fondamenta ha sotterrato un mastodontico solenoide. Per inciso, “maica Domnului” è il termine romeno che indica la madre di Gesù, analogo al nostro “madonna”, particolare originale sia per un autore che non sembra avere alcuna preoccupazione religiosa, sia per uno Stato che ancora negli anni Ottanta faceva propaganda ufficiale per l’ateismo –eppure devo testimoniare che non è una toponomastica simbolica, il nome della via è lì sulla mia cartina di Bucarest, nella zona residenziale a sud del lago dei Tigli.
“Come Brasilia, ma in maniera ben più profonda e più vera, Bucarest era nata su di un tavolino da disegno, da un impulso filosofico di immaginare la città che illustrasse nella maniera più pregnante il destino umano: città della rovina, del decadimento, delle malattie, dei calcinacci e della ruggine” [p. 145]
I dettagli topografici non sono secondari in Cărtărescu, la cui devastante poetica materialista si alimenta di dimensioni reali per stravolgerle negli episodi fantastici che ribaltano il significato di quasi ogni capitolo.
Cărtărescu rovescia uno dei tópoi che il postmoderno ha ereditato dal surrealismo, cioè la cosificazione dell’umano. Nella sua scrittura avviene il contrario: è il mondo esterno che acquista tratti organici, è il corpo che proietta se stesso nell’ambiente. Da qui i vasti sotterranei segreti che sembrano musei di organi umani, i colossali corpi umani in cui il protagonista si imbatte quasi senza sorpresa – ma anche quella incontrollata proliferazione di vita cieca, meccanica, gli insetti, le larve, i ragni: d’altronde sull’icona del lepidottero l’autore ha modellato la struttura profonda di Abbacinante, come i lettori sanno.
La storia di Solenoide si conclude in anticipo rispetto a Abbacinante, il cui terzo volume è ambientato ai tempi della rivoluzione dell’89, con lo smantellamento del partito unico e del suo regime. La differenza fondamentale con tutta la sua narrativa precedente è nel fatto che in questo romanzo il disagio di vivere si fa esplicito, e diventa protesta esplicita. Cărtărescu non si rivolge mai a un’entità soprannaturale, ma il lettore può interpretare come vuole la disperata protesta dei Manifestanti, la setta clandestina che le autorità cercano di reprimere, i raduni notturni di contestatori che sfoggiano cartelli contro l’ingiustizia della morte e contro l’esistenza del dolore.
“Da dove viene l’infelicità? Com’è possibile l’infinito squallore delle nostre vite? Perché proviamo dolori, perché ci ammaliamo, perché ci è stato dato il tormento della gelosia e dell’amore non corrisposto? Perché veniamo così tanto feriti dai nostri simili? Come è stato approvato il cancro, come mai è stata data via libera alla schizofrenia? Perché esistono amputazioni, chi ha permesso la comparsa nella nostra mente di strumenti di tortura? Perché si sono cavati i denti per estorcere confessioni? Perché sono state straziate ossa negli incidenti lungo le strade?” [p. 212]
Questo tentativo di trovare un senso alla vita non è altro che la scrittura, la letteratura; ma per la prima volta Cărtărescu prova una sintesi, azzarda a trovare una soluzione al cancro dell’insignificanza, tanto che il romanzo termina con un evento che invece di incrementare l’entropia dei segni, si muove in direzione opposta. Come ogni grande opera della letteratura mondiale, Solenoide è sia una riflessione sulla vita che sul tentativo stesso di trovarle un senso nella scrittura:
“Come il sesso, come le droghe, come tutte le manipolazioni della nostra mente che vorrebbero rompere una volta per tutte il cranio e uscire fuori, la letteratura è una macchina che produce dapprima felicità, poi delusione. Dopo avere letto decine di migliaia di libri, non è possibile non chiedersi: dov’è stata la mia vita in tutto questo tempo?” [p. 61]