È un romanzo ambizioso, Theodoros di Mircea Cărtărescu. Lo è nelle dimensioni, nel linguaggio, nel progetto stesso. Lo ha dichiarato l’autore, nella postfazione del libro e poi di persona nella presentazione milanese in occasione di Bookcity. Una presentazione straordinariamente affollata, con la coda di mezz’ora per entrare, i libri esauriti, gente in piedi, molti ragazzi. In una Bookcity come sempre strapiena di eventi; e la sala era nella seconda piazza del Castello Sforzesco, in fondo a un chiostro. Insomma un posto che dovevi cercare, non di quelli che ci passi davanti passeggiando.
Cărtărescu ha cominciato dicendo che, quando ha pensato a Theodoros, voleva scrivere un libro diverso da tutti i precedenti, perché è compito dello scrittore scrivere romanzi differenti, e perché da anni voleva fare un romanzo che non fosse né totale né filosofico, come sono nel suo intento gli altri volumi. Voleva scrivere un romanzo fatto di tante storie, che si rifacesse alle epopee di diverse tradizioni, che fosse un accumulo di narrazioni e che riempisse la storia, quella vera, di immaginazione.
Theodoros è diviso in tre libri, è lungo 700 pagine ed è un grande epopea, un romanzo di avventura e di religione, di amore e dolore, di spietatezza e potere, di ambizione e tormento, di ascesa e caduta. Un romanzo che non rispetta l’unità di tempo e luogo, e ci porta a spasso per i secoli e per tutto il Mediterraneo, dalla Valacchia piena di neve a Gerusalemme, dalle isole greche all’Etiopia. Theodorus, che fin da piccolo voleva diventare imperatore e ripetere, o meglio superare, le gesta di Alessandro Magno, persegue il potere e la gloria con ogni mezzo e con grande coraggio, finché le sue conquiste lo portano a essere proclamato Imperatore di Etiopia. Ma le vicende personali e intime, soprattutto la morte della giovane moglie che aveva la capacità di acquietarlo e addolcirlo, ne esasperano i tratti crudeli e dominatori, trasformandolo in una figura violenta e sanguinaria. Chi prima aveva accettato la sua presenza e aveva accondisceso alla sua presa del potere, lo abbandona o gli si rivolta contro. Theodoros è solo, perduto, pieno di rancore, di vergogna, di rimpianti. A soli cinquant’anni si uccide, con la pistola d’oro che gli ha regalato la regina Vittoria d’Inghilterra.
Ma se il romanzo fosse semplicemente il racconto delle avventure di Theodorus, sarebbe un romanzo come tanti. Bello, bellissimo, avvincente, ma un romanzo come tanti. Invece la narrazione delle vicende di Theodorus è condotta in seconda persona, con il “tu”, da una voce narrante che giudica e condanna, una voce narrante etica. Che infatti scopriamo essere quella dei sette arcangeli che presiedono alle vicende terrene e che si accertano, dall’alto dei cieli, che i destini di ciascuno vengano compiuti e che tutti siano quindi pronti per il Giudizio Universale. Gli arcangeli devono preparare una relazione, per il Giudizio Universale, in cui non solo raccontano per filo e per segno tutto quello che Theodorus ha fatto e pensato e sentito nella sua vita, ma anche tutte le occasioni in cui loro, gli arcangeli, sono intervenuti, per metterlo in guardia, per salvarlo, per allontanarlo dal male, senza naturalmente poter cambiare il suo destino.
Nei tremila anni in cui la vicenda di Theodoros si sviluppa, la ripartizione del mondo medioevale, con il mondo umano sulla terra, il mondo divino sopra, nei cieli, e il mondo demoniaco sotto, ci dona una dimensione senza tempo, o con un tempo che non ha più la sequenzialità a chi siamo abituati. E in questo non tempo o tempo magico trovano spazio una Bucarest con il cielo pieno di aquiloni, che rappresentano personaggi storici e marchi contemporanei, Coca Cola in primis; l’Imperatore degli Stati Uniti d’America, tale Joshua Norton residente ma homeless a San Francisco, a cui ogni cittadino si inchina appena lo incontra; un pirata tra la cui discendenza ci sarà John Lennon; delle lettere auliche alla regina Vittoria, contraccambiate con regali bizzarri e improbabili. In questo non tempo trovano spazio i mille personaggi veri e inventati, veri e reinventati, tutti vividi e presenti nella pagina anche solo per un attimo, e i mille luoghi, veri e inventati, veri e mitici, in cui Theodorus passa, resta, costruisce e più spesso distrugge.
Richiede un certo impegno e una certa costanza, questa lettura. Non bastano un paio di pagine per entrare nel mondo di Theodoros. Ce ne vogliono un po’ di più. Dopo di che, il linguaggio ricchissimo, un po’ antico e un po’ contemporaneo, sempre canoro, luminoso, pieno, diventa il vostro linguaggio. Per tutto il tempo in cui resterete con il libro e anche dopo. Quando, durante la presentazione milanese, ho sentito un bravissimo attore leggere alcuni brani, le ho riconosciute subito, quelle parole e quelle frasi, ed era un ritrovamento felice e quasi esaltante. Quanto alle tre dimensioni – terrena celeste e demoniaca – anche quelle entreranno nelle considerazioni quotidiane della vostra vita. E odierete e amerete Theodoros, che fa cose grandiose e cose orrende, che sfida l’ordine costituito, che ama disperatamente Stamatina ma si appropria di qualsiasi donna gli passi davanti, che adora la madre ma non la va mai a trovare e si accontenta di scriverle e di ricevere in risposta delle pagine bianche. E vi verrà voglia di andare prima sulla carta geografica (oops, su Google Maps) a vedere dove si trova la minuscola Valacchia, che confina con la Transilvania, e poi magari organizzarci un viaggio. Insomma Theodorus, con i suoi eccessi e le sue intemperanze, con il suo essere larger than life, si accaparra la nostra immaginazione ben oltre il tempo di lettura (che già di per sé non è poco) e diventa un’esperienza bellissima.