Mino Milani era, certo non per età quanto per disposizione e stile, troppo gentiluomo e letterato “all’antica” per essere di moda. La sua passione per gli eroi disinteressati e problematici, per i soldati di ventura e i capitani coraggiosi, così fascinosamente evocati sulle sue pagine, ha poco a che vedere con un mondo dominato, più che da romantici ideali, da appalti, obbligazioni e contratti. Eppure il suo estro creativo di narratore fu multiforme.
Redattore e poi direttore, tra gli anni ’50 e i ’70, prima de Il Corriere dei Piccoli e poi de Il Corriere dei Ragazzi, dove compare anche sotto innumerevoli pseudonimi – Eugenio Ventura, Piero Selva, Stelio Martelli, Mungo Graham Alcesti o T. Maggio – intesse su quelle pagine trame e avventure di personaggi destinati alla letteratura giovanile, che hanno però uno spessore tale da soddisfare anche gli adulti: primo fa tutti il cow-boy Tommy River, eroe “crepuscolare” ed “esistenzialista”, che, del tutto privo delle sgradevoli pretese “edificanti” tipiche della narrativa per ragazzi dell’epoca, accompagna verso l’adolescenza i baby-boomers degli anni ’60.
Non si contano poi le sceneggiature per i più grandi disegnatori-autori del fumetto italiano, Hugo Pratt, Milo Manara, Grazia Nidasio, Mario Uggeri, Aldo Di Gennaro, Dino Battaglia, Sergio Toppi, Attilio Micheluzzi e anche stranieri, come il catalano Enric Sió, il cileno Arturo del Castillo e gli argentini Alberto Breccia e Jorge Moliterni. In particolare è molto stretto il rapporto con Hugo Pratt, che condivide lo spirito avventuroso di Milani declinandolo in senso opposto – la grande esteriorità del globetrotter sempre in movimento Hugo, la grande interiorità di esploratore degli spazi segreti della provincia, Mino – una collaborazione che darà frutti egregi, riscoperti soprattutto in anni recenti: adattamenti di classici letterari come Sandokan o L’isola del tesoro e biografie romanzate di figure storiche reali come il capitano di ventura Fanfulla da Lodi di Fanfulla.
L’interesse per la ricostruzione storica e per la biografia si approfondirà negli anni seguenti producendo decine di opere, alcune delle quali considerate a tutt’oggi dei classici, anche da parte degli specialisti: da ricordare in particolare Giuseppe Garibaldi. Biografia critica (Mursia, 1982) e Vita e morte di Nino Bixio (Mursia, 2011). Come ci confida lo stesso Milani in Piccolo destino (Mursia, 2010), una rapsodica e concisa autobiografia che chiunque voglia conoscere un po’ meglio questo autore dovrebbe leggere, la grande passione per l’”Eroe dei due mondi” e di conseguenza per tutto il Risorgimento, nasce un po’ a posteriori su una pregressa e immotivata “antipatia” giovanile nata dall’abuso dell’immagine garibaldina da parte del Fronte Popolare nell’immediato dopoguerra (Milani, che pure ha partecipato da ragazzo alla Resistenza a Pavia, non nasconde la sua visione del mondo tendenzialmente conservatrice – posizione che, forse, ha contribuito a marginalizzarlo dopo gli anni della “contestazione”). Una volta scoperto il “vero” Garibaldi, lo scrittore non lo abbandonerà mai più, occupandosi ripetutamente dell’Impresa dei Mille, di Anita (Anita Garibaldi. Vita e morte di Ana Maria de Jesus, Camunia, 1995) e di vari altri temi risorgimentali (fra tutti ricordiamo Le battaglie di Solferino e San Martino, minuziosa ricostruzione scritta nel 1971 e riedita, quasi quarant’anni dopo, con una corposa appendice curata dall’Associazione Storica Medolese).
Grande narratore, Milani intesse le sue trame sulle corrispondenze fra reale e immaginario, proverbiale La realtà romanzesca, rubrica da lui tenuta per decenni su La Domenica del Corriere e in seguito raccolta in un paio di fortunati volumi omonimi. Come spiega in Piccolo destino: “Cominciai così quel viaggio nel quotidiano imprevedibile, nel banale straordinario, nell’avventuroso comune, nell’incerto territorio tra sventura e fortuna, pianto e sorriso, dramma annunciato e lieto fine inatteso. Giornali, agenzie, racconti sentiti dire, frasi prese al volo mi rivelarono storie incredibili […] Perché questo era il punto: il romanzesco si contrappone al reale, in quanto estraneo, generalmente, all’esperienza comune, ma per concludersi quasi sempre nel dramma. Nella rubrica invece, la conclusione doveva essere positiva, anche se erano d’obbligo incertezza, precarietà e contrasto. Il racconto di una realtà romanzesca non doveva essere quello di una cronaca nera, pur avendone il sapore e il carattere. […] Confesso che qualche volta, a corto di storie vere, ne raccontavo di fantasia” (pag. 102-103).
Procedendo su questa linea, Mino Milani, ha inaugurato e anticipato almeno due dei generi o sottogeneri che, oggi in piena voga e massicciamente praticati, raramente recano memoria di chi per primo li ha concettualmente definiti o pionieristicamente introdotti in Italia: il “giallo storico”, con le indagini di Melchiorre Ferrari, commissario dell’Imperial-Regia Delegazione di Polizia del Lombardo-Veneto, ambientate nella Pavia della prima metà dell’Ottocento (tutti pubblicati da Ponzio fra gli anni ’80 e i ’90 e ristampati da Effigie negli anni 2000) – e il “gotico padano”, con, forse il suo capolavoro, Fantasma d’amore (Rizzoli, 1977 e Barion, 2013).
Il romanzo diventa quasi un best-seller negli anni ’70, a sottolineare l’interesse ancora vivo per quella occulture che aveva caratterizzato fortemente il decennio precedente e che persisteva costante, e offre spunto a Dino Risi per una delle sue escursioni – invero non troppo felici – fuori dai confini della commedia all’italiana. Il film omonimo dà modo a Risi di bissare nel 1981 l’attenzione per il gotico già manifestata nel 1976 con Anima persa, giocando carte molto simili: un solido testo letterario alla base – Anima persa di Giovanni Arpino, in un caso, Fantasma d’amore di Mino Milani, nell’altro – un’accoppiata di divi dello schermo di prima grandezza – Vittorio Gassman e Catherine Deneuve per Arpino, Marcello Mastroianni e Romy Schneider per Milani – una città d’impatto scenografico e atmosferico – Venezia per Arpino e, ovviamente, Pavia per Milani – e infine uno stesso sceneggiatore di riguardo che curasse l’adattamento del testo letterario: Bernardino Zapponi, autore “poesco” in proprio e collaboratore di Federico Fellini dal Toby Dammit di Tre passi nel delirio in poi. Purtroppo in entrambi i casi l’alchimia non funziona troppo bene e i film, almeno al confronto con la forza dei testi da cui prendono spunto, appaiono fiacchi. Lo stesso Milani lo lascia signorilmente intendere in Piccolo destino: “certo, mi era piaciuto, tranne che nella conclusione; che io, nel romanzo, avevo inteso parlare di un vero fantasma, non di un’ossessione; di un’intrusione dall’aldilà, non di una follia” (pag.83). In effetti Milani scrive una ghost-story a tutti gli effetti – forse una delle più belle di tutta la letteratura italiana contemporanea – senza tirarsi indietro di fronte a scene di malsano erotismo, come il bacio con lingua al revenant femminile, o a insistiti particolari macabri, come i dettagli sugli annegati nel Ticino, e con un finale decisamente forte, da horror. Non ho usato a caso il termine “gotico padano”, pensando ai film di Pupi Avati, incubi assai più intonati a quello ordito da Milani, della troppo sfumata trasposizione cinematografica di Risi. Da gotico che si rispetti, Fantasma d’amore, utilizza la lente del fantastico e dello spettrale, per guardare alla vita di provincia, a personaggi apparentemente ineccepibili di borghesi – il protagonista, uno stimato commercialista pavese sposato da anni con una frigida, fervente cattolica, si chiama Nino, ha un fisico atletico e pochi capelli ed è nato nel 1928, proprio come Mino – che celano oltre la facciata pubblica, private oscurità inespresse e tensioni inconfessabili: l’Altro venuto dall’Oltre, ne smaschera e rivela fatalmente le quotidiane ipocrisie.
Concludiamo con un invito al lettore a non dimenticare Milani, a cercare i suoi libri, anche quelli non ristampati e scomparsi, magari sulle bancarelle o su internet: anche i vecchi volumi per bambini e per ragazzi, tutto il ciclo degli otto romanzi di Tommy River, per esempio, perché no? Come giustamente scrisse Gianni Rodari: “Mi sento domandare abbastanza spesso: perché non c’è più un Salgari? Perché non c’è più un Verne? Perché non ci sono più grandi scrittori di avventure? Invece di rispondere, domando a mia volta: conoscete Mino Milani? Avete letto almeno uno dei suoi libri?”.
Fra quelli regolarmente in commercio (per Mursia), si cominci da Fantasma d’amore, che difficilmente potrà non piacere, e non si trascuri Piccolo destino in cui lo scrittore ci parla della sua vita e di sé, del suo mestiere, delle avventure vissute e immaginate, della passione per Marlow e Martin Eden, per Joseph Conrad e Jack London, chi non lo condividerebbe ? E per approfondire con quasi settecento pagine di immagini e testi di e su di lui: Come è bella l’avventura. Mino Milani. Biografia per immagini. A cura di Giovanni Giovannetti e Luisa Voltan (Effigie edizioni, 2018) di cui già si è parlato su Pulp.