Mina Loy (1882-1966), energica e fascinosa d’inconsueta poesia in numerosi circoli artistici al di là e al di qua dell’Oceano atlantico. Ha pervaso con la propria attività espressiva menti e esistenze di cultori di bellezza e scrittura che si chiamano Marcel Duchamp, Basil Bunting, T.S Eliot, Ezra Pound, Gertrude Stein, William C. Williams, e da noi Papini, Marinetti e soci frequentatori – come lei negli anni “italiani” – del Caffè Giubbe rosse. Non si escludono, né si fa mancare, rapporti amorosi, intimi e impregnati d’intemperie, né partecipazioni a mostre Futuriste che intorno al 1914 spingono pubblico e sodali in territori rumorosi e interessanti nonché pericolosi come ben si sa. L’America dei Modernisti e la Rapallo di Pound, quest’ultima accogliente verso poeti di chiara fama o di futura celebrità, sono molto presenti nella sostanza linguistica, dura e sfidante, messa in campo da Mina Loy. L’immaginazione estesa a ogni punto cardinale è tirannica, sfida tradizioni e lungimiranze di esperti e lettori d’ogni genere.
Mina Loy autrice di un solo libro, il qui presente Baedeker, guida assoluta, finalmente tradotto nella sua integrità (con l’aggiunta di alcune prose di sicuro interesse e impatto). Mina Loy, dalla furiosa vita, però padrona d’infinite risorse come l’arte della pittura e del disegno e del saper viaggiare verso luoghi in cui le sue Love Songs possano venire adottate e, di più, inserite nei destini morali e artistici d’intellettuali eterni. Poiché i nomi dei suoi amici, e amanti, li abbiamo sotto gli occhi. Anche se il sentimento verso la sua poesia passa dall’adorazione al più completo rigetto, non sono mancati studiosi non solo domenicali. In Italia ricordiamo il lavoro di Carlo Anceschi con la preziosa antologia (in compagnia di Basil Bunting) pubblicata nel 1993 in una collana delle edizioni Diabasis diretta da Attilio Bertolucci. E il volume dell’editore Le Lettere curato da Antonella Francini.
Nell’attuale Baedeker il lettore potrà saggiare la lingua quasi tribale che Loy adotta e che, sbeffeggiando la tradizione lirica anglofona, in qualche modo influenza sia i movimenti modernisti dell’epoca sia il lavoro sin lì svolto da poeti non certo secondari. È il mistero di una poetessa citata in tutte le biografie di scrittori inglesi, al netto di pettegolezzi e pittoreschi memoir. Dimenticata poiché la sua scrittura più che ermetica spaventa quasi tutti? Riapparsa quando la lingua è stanca dell’immobilità critica, e i versi stanziali di diversi paesi desiderano togliersi di dosso polveri e anche ceneri secolari. Musa di sé stessa, fra un viaggio e l’altro, Mina Loy è corpo saldato alle parole, per pochi certamente, verso cui rare porte si aprirono, mai adottata da un’America che biasimava la troppa originalità ma che non per niente infatuò Duchamp.
Bel poeta, qualcuno disse riferendosi a colei che giammai si definì poeta, e non si sa se darle ragione togliendosi da angustie critiche, ma per ritornare seduta stante a pagine che irritano e seducono, imprigionati in una tessitura che non si saprebbe come definire se non come dominante e corporale poesia. In una biblioteca universale, sintomo o progetto che sia da parte di una mente delirante, ci si precipiti verso un’opera come questa “guida”, piena com’è di precipitati linguistici e staffilate poundiane, di avventure sessuali e spinte dionisiache tradotte con grande merito, ci pare, da Marco Bartoli. Intanto, mettere in conto quella completa attenzione richiesta ferocemente a ogni verso, e con onestà togliere di mezzo l’infingarda occhiata o, peggio, una rassegnata trasferta sentimentale.