Milo De Angelis / Diventano poesie di oggi

Milo De Angelis, Poesie dell’inizio 1967-1973, Mondadori Lo Specchio, pp. 112, euro 17,00 stampa, euro 9,99 epub

Poesie dell’inizio 1967-1973: Capitoli “giovanili” del romanzo, parafrasando il titolo della parte centrale di Biografia sommaria (1999), capolavoro di Milo De Angelis insieme a Somiglianze, primo libro (1976) del poeta pubblicato nella collana “Quaderni della Fenice” diretta allora da Giovanni Raboni. In quel periodo si parlava di come la linearità della narrazione si scontrasse con le linee spezzate derivate dallo scontro frontale, dagli stacchi e le asprezze, dai movimenti complessi del sesso, mentre le rime sorgevano improvvise e ammalianti. Tutto avviene nei Capitoli del romanzo e, andando indietro nel tempo – ma non di molto, in verità –, nelle scomposizioni e ricomposizioni testuali che pervadono Somiglianze e che hanno cambiato la poesia italiana.

Molte stagioni abbiamo valicato con queste poesie, le adolescenze hanno attraversato i decenni e mentre il mondo cambiava nella sua essenza mentale, geografica e topografica, molte linee si sono aggiunte, e “il meno prevedibile” dei poeti (ancora Raboni) ha continuato a dare un nome alla grazia e alla durezza, imponendo solidità e destino ineluttabile. La vicenda poetica ha un’origine che ora si può leggere nei 51 testi scelti fra quelli raccolti dall’amico Angelo Lumelli (ahimè scomparso lo scorso novembre) e conservati a lungo in un plico che tiene conto del laboratorio poetico di De Angelis fra i suoi 16 e i 22 anni. Un dossier che Angelo restituì in un incontro pubblico a Milano nel 2016, per festeggiare i quarant’anni della pubblicazione di Somiglianze.

In questo nuovo libro (testimone di un’origine) il post scriptum di Lumelli dà voce a un tempo in cui la lingua si costruiva vagando fra le risorse dei cortili e delle strade, dei cinema, e dei giochi col pallone, lasciando andare anche gli errori che Angelo, da par suo, definisce “magnifici” dando così agio a uno spazio di manovra ben più esteso. Nelle stanze dell’esperienza, continuiamo felicemente a seguirne il pensiero, la poesia s’impone e consente di spiare il mondo: così avviene nelle prime elaborazioni di un linguaggio che Milo ingiunge alla sua scrittura: colloca e disloca dentro i temi prediletti, in una tensione continua fra analisi logica e atti perentori. Siamo certi che in quegli anni, gli incontri casalinghi e le letture, l’insieme di grazia e violenza, fughe e ritorni, fossero all’ordine del giorno. Apparizioni di ragazze e domeniche al cinema stavano nell’interezza della biografia. Un “luogo intero”, ricucito fortemente dalla poesia. Tra l’essere vivi e il niente c’è tutto l’apprendistato che De Angelis persegue in quei primi anni. Cosa sarebbe successo se queste poesie fossero uscite prima dell’inizio dei ’70? La domanda cerca una soluzione al tempo frantumato che iniziava a svolgersi proprio in quegli anni, quando la poesia non ha saputo difendersi da aggressioni, e spesso dalle proprie spine – quando le domande, nota Lumelli, erano forse troppe mentre la parola si aspettava qualcosa da noi.

Le poesie giovanili di De Angelis si pongono già dentro una tensione alta, un rischio che tenace tiene testa alla vita tutta uguale delle periferie, il rischio addossato alle parole perché “sentano” il metodo perseguito dal poeta nella sua città considerando mille varianti e un solo “andare a capo” – sempre quello, non un altro. Se i significati sono una tempesta, l’a capo spezza la confusione, ordina un allontanamento: per conoscere la poesia bisogna farlo, ha detto da qualche parte Milo. In molte di queste 51 poesie il poeta che conosciamo agisce sapendo già quali saranno le conseguenze del suo dire “sono qui”. Si orientava, nei confini di Milano, per condursi a un colloquio straniero. Nel pieno di “questa verità di andare via, la solita strada”.