“Dov’è Cosima?” “Sta leggendo”. Questo brevissimo scambio di battute e la bella immagine di copertina – una ragazza appollaiata su un ramo, con in mano un libro – rivelano molto di questo romanzo di Milena Agus. Si tratta di una storia semplice: è l’anno della maturità per Cosima (questo nome è già omaggio al libro autobiografico Cosima di Grazia Deledda, autrice molto presente, e al protagonista de Il barone rampante di Italo Calvino) anno in cui, tra le altre cose, perde la madre e incontra l’amore, entrando a pieno titolo nella fase adulta della sua vita.
La particolarità di Cosima, complice anche la sua amatissima insegnante di italiano, è la tendenza a “letterarizzare” quello che vive quotidianamente riconducendo tutto o quasi, appunto, alla letteratura dando così una veste più nobile e migliore a persone, oggetti, situazioni che le ruotano intorno. Il metodo pare funzionare perché, ad esempio, dove sua madre vede povertà, la ragazza coglie semplicemente la mancanza di cose superflue; non solo riesce a neutralizzare l’indifferenza dei parenti acquisiti, costruendo fantasiose storie su di loro ma, soprattutto, è divertente – anche un po’ commovente per chi, come me, è cresciuta tra i libri – apprendere che Cosima, nel traferirsi dall’amato paesino che l’ha vista nascere alla città, si consola recitando tra sé e sé l’Addio ai monti che Manzoni, nei Promessi Sposi, riserva a Lucia, che dopo tante vicissitudini, alla fine ritornò al luogo natìo.
Così com’è piacevole ritrovare Bartleby lo scrivano di Herman Melville preso come esempio di chi riesce a dare un valore filosofico alla disobbedienza civile indossando con eleganza l’abito del dissenso; o Hemingway che, con Colline come elefanti bianchi, è capace di dare un minimo conforto nel caso di un aborto; o imparare come ci si dichiara in amore copiando dal Konstantin di Anna Karenina di Tolstoj. Insomma, Agus ci dice che i libri sono medicamento, compagni di viaggio, aiutano a vincere la tristezza, a sentir meno la fame, a darci lo spunto per ribellarci alle ingiustizie o, addirittura, a darci una mano nell’inventare credibilissime bugie.
A volte, ho pensato d’essere in torto nel considerare come migliori i libri che si studiano a scuola, i cosiddetti “classici” ma, con questo libro, la scrittrice genovese sarda d’adozione pare darmi ragione: sono proprio questi romanzi – ma anche poemi, novelle e racconti che, qui, ritroviamo – a non smettere mai di parlarci, come se avessero trovato il modo di far stare tutto il mondo dentro le loro pagine, aiutandoci a comprenderlo.
Questo libro mi appartiene anche per un altro aspetto: capita che m’imbatta in frasi che mi piacciono senza riuscire a metterne a fuoco il reale motivo, ma con la certezza che ad attrarmi, colpirmi, sono state alcune parole che le compongono; immagino, sia per questo che ne subisco il fascino e cerco in tutti i modi, per sentirne ancora una volta il suono, di infilarle in ogni discorso, esattamente come fa Cosima.
Condivido anche un altro passaggio di Notte di vento che passa: l’incitamento che Cosima riceve dalla sua insegnante di lettere a prendere la penna in mano. Se è vero che leggere può essere una grande consolazione, scrivere può diventare strumento d’immortalità, e non solo per gli autori, anche per chi, in quelle pagine, verrà raccontato. Nella nota finale del libro, l’autrice tira le fila del romanzo sottolineando come la sua esigenza, il suo intento primario, sia stato quello di descrivere alcune delle ingiustizie che affliggono la tanto amata Sardegna: la miseria, la disoccupazione, l’abbandono del territorio da parte dei giovani, il colonialismo economico degli stranieri, la cementificazione delle coste e le servitù militari. A mio avviso, con le tante citazioni letterarie, i molteplici rimandi a testi, poesie, autrici e autori, Agus lascia anche intendere che tutti i sentimenti che affiggono i protagonisti del romanzo – il “guazzabuglio del cuore umano”, per dirla col Manzoni – sono patrimonio di tutti e che, per quanto riguarda la sofferenza e in generale il vissuto dell’umanità, è già stato tutto raccontato in letteratura e, forse, scrivendone, si è cercato in qualche modo di comprenderlo.