Milano è divisa da invalicabili Muri di acciaio.
Il centro è il nucleo della depravazione, della ricchezza smisuratamente corrotta. Fuori dai paradisi proibiti, devastazione e violenza. Si lotta per la sopravvivenza.
La zona industriale, quasi innominabile, ospita i reietti più resistenti.
L’aria è pregna di polvere fangosa, mortale. I Martiri si danno fuoco, le metropolitane sono passaggi pericolosi, il teatro alla Scala è un cumulo di macerie.
Il Profeta emana decreti, detiene il controllo del Potere, la religione del Male è officiata dalla casta dei Sacerdoti. Serbatoio Ghisolfa è una zona anarchica, Topi sono i bambini del sottosuolo.
In questo scenario maledetto, Nigredo – passato da terrorista – aiuta i Reparti a risolvere delitti incomprensibili. Vive dentro San Vittore, luogo deserto.
Il carcere è il suo sentire. È un uomo tormentato, silenzioso, che detesta essere toccato. Olivia – passato da falsaria – ha il volto sfigurato dalla punizione dello Spettro. Guida un taxi, il movimento è la sua natura, e sa entrare nella mente degli altri. Conosce i punti “ciechi” dove le telecamere non arrivano e varca i confini.
I Reparti indagano su masse di donne morte, tutte perfettamente identiche, “corpi mutilati in una città incompleta”, “corpi incompleti in una città mutilata”.
Che cosa sono quei corpi? Cavie, donne sintetiche? Oppure?
Nigredo e Olivia li abbiamo conosciuti in un bellissimo romanzo precedente, Eva (Einaudi, 2002). Nel 1993 Nicoletta Vallorani ha vinto il premio Urania – prima donna a ottenere questo riconoscimento – con il romanzo Il cuore finto di DR (Urania n.1215).
Ci ha preparati ai cloni e alla telepatia. Ma questa Milano deturpata è andata oltre le possibilità di un romanzo.
Ho la certezza che la scrittrice abbia girato un film, compiuto, e solo alla fine l’abbia “trascritto”. Solo una tecnica così rigorosa può creare tanta forza.
Le immagini e la fisicità sono persistenti, s’imprimono e non si spengono neppure a libro chiuso. Come si raggiunge tanta incisività, tanto scavo?
La lingua cesellata, le frasi brevi, celebrative, i campi lunghi, la pioggia di sinestesie, i personaggi fortemente caratterizzati nel loro mistero e nella loro frammentazione grondano sul lettore che viene immerso dentro un mondo di vivido incubo. La parola è sirena, l’immagine è corporea, il quadro si compone gradualmente, lasciandoci sperare che non sia davvero possibile. È atroce la vicenda e nobile il racconto.
Forse è un libro di poesie, che alla fine sono state ricondotte in una forma più prosaica, addomesticata. Ma il cuore selvaggio batte forte. Talmente forte che si leggono poche pagine alla volta, e si rileggono.
Nessuno spazio per gli affamati di parole. La lingua ha l’asciuttezza di un libretto d’opera. L’intensità è data dall’orchestrazione. Il melos è tagliente e doloroso, delicato e morbido. Se le scene chiudono con un fortissimo, subito il pathos viene stemperato con il sorgere di nuovi temi, nuovi sviluppi. Le molte figure hanno spessore e veridicità. Ma come mondi deviati, inesprimibili. Olivia non può dire il suo amore, Nigredo non può dire la sua desolazione. Noi li sentiamo raddoppiati.
È la forza dell’epica, che è il tratto più emergente di questa scrittura.
Epica è l’ambientazione, epici sono i misteri e la necessità di dipanarli.
Scene, visioni, voci, polifonie, cluster, la storia si svela lentamente per cerchi concentrici, minimalisti. La narrazione non è lineare ma caleidoscopica.
Un immobile tempo presente avvolge il lettore. È la dimensione implacabile del mito. Lo stritola quando deve stritolare, lo libera quando deve liberare.
Come in un teatro greco troviamo figure altamente evocative. Le mourners, le cantatrici dello strazio, il Pittore, il solitario compositore di volti; Ariel, la Cavia- Regina bambina, vestita di tulle, che inizierà la fine dello scempio, Raul, sottoposto alla tortura che lo rende invisibile, Nikon il fotografo che sa guardare, i Pattinatori, con i loro corpi scolpiti come rondini in primavera, Kariel, la guardiana disubbidiente.
I ricchi hanno creato il Programma per combattere la decadenza della vecchiaia e la morte. Ma a quale costo? La risposta prevarica i confini della nostra immaginazione e lascia senza fiato. Bisogna entrare nel Palazzo dei Leoni, vedere quello che non è possibile neppure immaginare, e Olivia presta la sua visione.
Avrai i suoi occhi Nigredo, non ti fermare.
Non so se si debba definirlo un romanzo di fantascienza. Potremmo porci la stessa domanda anche con l’Odissea o L’Orlando Furioso.
A questo punto vorrei chiedere all’autrice di farci vedere il film. Non può non essere pronto. È tra le righe di ogni pagina, ben dissimulato.
Questo sa fare la vera Letteratura.
Dall’Archivio di Pulp Libri:
Intervista a Nicoletta Vallorani (Pulp Libri, 2004) e tre vecchie recensioni