Mika Biermann conclude la trilogia di romanzi dedicata ai pittori – dopo Tre donne nella vita di Vincent van Gogh e Tre giorni nella vita di Paul Cézanne, tutti pubblicati dall’Orma. Ora tocca a Berthe Morisot, di professione pittrice in un’epoca in cui il talento femminile – lei nata nel 1841 a Bourges – non è esattamente ben visto dalle classi borghesi e non. Ma Berthe non demorde, desidera a tutti i costi conoscere il mondo dell’arte e dei pittori, incontra Edouard Manet nel 1867 quando lei si trovava al Louvre del tutto presa dalla copia (come allora s’usava) di quadri di Rubens. Berthe, che si definiva “più strana che bella” accetta di posare per colui che considerava già un maestro. La cosa non passa certo inosservata in un mondo, quello artistico, governato dalla predominanza maschile. Ma la passione vince, l’attività di modella per Manet (sposa Eugène, fratello del celebre artista) s’incrocia con quella dello studio iniziando a esporre i propri quadri nel 1874, unendosi – unica donna – a coloro che già potevano considerarsi (attraverso il dipinto Impression, soleil levant di Claude Monet) “impressionisti”. La scelta di una vita libera la espone a critiche anche feroci: amicizia e stima, il sospetto di un love affair (forse) fra i due, contrastano le regole in voga dettate dalla società sia mondana che artistica. Il rifiuto dell’arte accademica passa anche attraverso Corot, paesaggista, abbracciando l’avventurosa sfida della pittura en plein air.
Biermann, scrittore francese di origine tedesca, in questo romanzo composto di rapidi schizzi quotidiani segue Berthe Morisot nel 1875 in una vacanza fuori Parigi assieme al marito Eugène dove lo svago viene perseguito fra bagagli, colazioni e pranzi improvvisati, contadini burberi, cavalletto aperto in piena campagna, e una ragazza, Nine, che dovrebbe occuparsi dei lavori di casa e degli ospiti. E che finisce per affascinare Berthe, con la sua selvaggia presenza. Ma alla fine è proprio la pittrice parigina a inoltrarsi – lontana dalle convenzioni cittadine – nel proprio caloroso sentire, inebriandosi di odori (il proprio e quello del circondario), di sapori e voluttà improvvise: il bagno, nuda, di fronte a un marito troppo tranquillo, tiepido e immune alla concupiscenza, il desiderio di accarezzarsi per rendersi cosciente del proprio corpo, la volontà improvvisa d’emulare quella ragazza che non sembra temere nulla dai viaggiatori venuti da lontano.
Berthe si rende conto che nell’arte il nudo è dappertutto, ma non nella vita, dunque qui Biermann traccia la svolta di un racconto dove il quadro è sempre presente sul cavalletto, e l’artista inventa i suoi colori mentre inventa la sua vita dove i bisogni e i desideri primari s’incrociano. Per lei i gesti dell’amore sono come la pittura: velocità e lentezza sono come riflettere e abbandonarsi. Berthe detesta Amore e psiche di David, al Louvre, ma scagiona Fragonard che almeno in Psiche mostra alle sue sorelle i doni di Cupido inserisce un sacco di belle ragazze. E adora Amore e psiche di Elisabetta Sirani, “intanto perché l’ha dipinto una donna”, e poi perché vi è presente la rusticità di un dio addormentato nel bel mezzo dei rischi d’amore. Nel romanzo, la libera pittrice non usa slogan per evidenziare il proprio pensiero sul sesso della donna, basta raccogliersi intorno ai documenti dell’epoca (ai suoi numerosi taccuini) per intendere quanto l’invenzione narrativa si avvicini alla realtà. Il quadro in corso d’opera è finito, o forse no, è già qualcosa che sia un buon quadro. “L’arte è fare delle scelte”, e Berthe lo dimostrerà nel decennio successivo come esponente di spicco del movimento impressionista. Oggi è il suo momento, la si vede pienamente nella mostra Impression Morisot a lei dedicata dal Palazzo Ducale di Genova (in corso fino al 28 febbraio).
Mika Biermann su Pulp Magazine