Ormai da diversi anni Miguel Gotor si dedica, con passione indagatrice e sguardo attento di storico, a decifrare i misteri e le vistose contraddizioni della nostra epoca. Il suo è uno studio storico che, quando si accosta alle premesse metodologiche di ogni nuova opera, parte sempre con il piede giusto, perché parte dai testi, in questo caso testi di alcune celebri canzoni: oggetto di studio – gli anni Settanta – che rivelano, nella loro apparente frivolezza, il mood di quegli anni. In questo suo nuovo libro Gotor spazia da Gigliola Cinquetti a Sergio Endrigo, da Rita Pavone a Paolo Pietrangeli, da Lucio Dalla a Guccini e i Nomadi, in una carrellata che aiuta lo storico a rendere l’idea delle spinte che animavano i giovani, i profondi cambiamenti della mentalità che si andavano affermando. Anche il vinile può aiutarci a comprendere quel decennio, – è l’intuizione di Gotor – e ogni capitolo di questo volume (il romanzo “nero” della Repubblica) ci rivela aspetti di ciò che smuoveva gli animi delle persone, soprattutto dei giovani, anche attraverso i testi delle canzoni.
Per comprendere questa nostra contemporaneità così caotica, che sembra rimettere continuamente in discussione le certezze ideologiche del Novecento, Gotor prende le mosse da altri testi fondamentali riguardanti gli anni Settanta: le lettere di Aldo Moro dalla prigionia, e il celebre memoriale, gli scritti di Moro durante il “sequestro della Repubblica”, di cui Gotor ha curato una vera e propria edizione critica e filologica, definendolo, giustamente, “il secondo epistolario più importante del Novecento” dopo le Lettere dal Carcere di Antonio Gramsci. In Generazione Settanta tutto sembra convergere verso il Caso Moro, vero e proprio climax del decennio. Tutte le vicende narrate non sembrano altro che una prefigurazione o un’allegoria del Caso Moro: perfino la strage di Piazza Fontana e il suo progetto politico di “destabilizzare per stabilizzare” e allontanare i comunisti dall’area di governo, trova il suo compimento nel sequestro dello statista democristiano. Per non parlare delle vicende successive, segnate in modo indelebile da questa svolta epocale, che ha reso impossibile l’ipotesi del Compromesso storico e l’allargamento della maggioranza di governo al PCI. Esaminando alcune lettere di Moro e il “memoriale”, Gotor fa capire ancora una volta che, ben più significativo di ciò che le lettere dalla prigionia dicono, è altrettanto se non maggiormente significativo ciò che queste lettere non dicono. È stato proprio lo storico-filologo Gotor a ricostruire quei passi che sono stati censurati o resi criptici da Moro stesso o dai suoi carcerieri, o dal comitato esecutivo delle BR, e successivamente occultati dagli apparati dello Stato che rinvennero gli originali scritti da Moro di proprio pugno, le fotocopie degli originali, oppure le trascrizioni a macchina degli originali. Questi documenti, fondamentali per comprendere i retroscena del potere democristiano, e che stranamente i brigatisti non vollero rendere pubblici, vennero ritrovati e diffusi “a puntate” dagli apparati dello Stato, all’indomani del primo (1978) e poi del secondo ritrovamento (1990) nel covo BR di via Monte Nevoso a Milano. Da questo punto di vista, il “decennio più lungo del secolo breve” – come recita il sottotitolo dell’opera – ha dimostrato di avere effetti di durata più che ventennale, dato che ancora nel 1990 il ritrovamento degli originali dei documenti di Moro scatenò una accesa polemica politica tra il presidente della Repubblica Francesco Cossiga e il presidente del Consiglio Giulio Andreotti. A partire dal Caso Moro (Gotor lo dimostra mettendo in fila una serie di fatti) inizia la crisi profonda del sistema dei grandi partiti del Novecento che porterà al terremoto di “Mani pulite”, al trionfo dell’antipolitica e agli odierni partiti personali e “fluidi”.
Giulio Andreotti è, neanche a dirlo, uno dei protagonisti di questo volume: la sua figura domina tutto il decennio, all’inizio del quale culmina la sua lunghissima scalata al potere (27 anni), iniziata subito dopo la fine della seconda guerra mondiale. Andreotti, con tipica nonchalance, che sfociava a volte in vero e proprio cinismo, con la sua straordinaria abilità nel “tirare a campare”, nel barcamenarsi tra le continue e pressanti richieste dei partiti e delle correnti, tra le opposte fazioni che si affrontavano nelle piazze, riuscendo sempre a rimanere al centro della scena politica, è il politico che meglio incarna questo periodo di forti scontri e contrapposizioni. Dietro la continua “sdrammatizzazione” andreottiana dei conflitti si intravvede un Paese, secondo Gotor, tutt’altro che incline al compromesso, al contrario di come spesso è stato dipinto. Dietro l’Italietta superficiale descritta da alcune canzoni dell’epoca, si celava uno scontro politico feroce. Di Andreotti l’autore traccia un ritratto evocativo: un uomo in vestaglia, la sera del 26 giugno 1972, contempla la bellezza di Roma ai suoi piedi, la Cupola di San Pietro e via della Conciliazione, dal suo appartamento in pieno centro. Ed è proprio quello stesso Andreotti, così cauto e prudente, che all’improvviso, all’inizio degli anni Novanta, decise di rivelare – forse per anticipare i risultati dell’indagine del magistrato Casson, forse per accreditarsi presso i Comunisti in vista della sua ascesa al Quirinale – l’esistenza della struttura supersegreta anticomunista Gladio. Moro – secondo la ricostruzione “filologica” di Gotor – aveva già accennato a Gladio nella parte secretata del memoriale, e le rivelazioni di Andreotti innescarono una serie di eventi politici che portarono alle dimissioni anticipate di Cossiga e impedirono allo stesso Andreotti di salire alla Presidenza della Repubblica nel 1992, all’indomani dell’attentato di Capaci dove morì il giudice Falcone. E non è escluso che alcune parti ancora inedite degli scritti di Moro continuino a condizionare la politica odierna, data la carriera irresistibile e fulminea di alcuni custodi di questi segreti o, viceversa, la morte improvvisa di altri personaggi che questi stessi segreti avevano intenzione di rendere pubblici (Pecorelli, Dalla Chiesa, Chichiarelli).
Questa nuova fatica di Gotor affronta di petto il decennio decisivo della storia italiana contemporanea: quegli anni Settanta che debordano nel decennio precedente e in quello successivo, anzi finiscono per comprendere un arco di tempo che va dal 1966, l’anno dell’alluvione di Firenze, al 1990, anno del secondo ritrovamento di via Monte Nevoso. Ma si potrebbe iniziare dal 1965, l’anno del famigerato convegno dell’Istituto Alberto Pollio all’Hotel Parco dei Principi, che segna l’inizio della cosiddetta “strategia della tensione”, o forse ancor prima, al tempo (1963-64) dei primi governi di centrosinistra guidati da Moro. Anni del primo tentativo – abortito a causa del “tintinnar di sciabole” del “Piano Solo” – di allargare la base politica di sostegno al governo aprendo ai socialisti.
Nell’analisi di Gotor relativa a quegli anni emergono tematiche relative al dibattito sul “passato che non passa” degli anni Settanta, tematiche di cui si è tornato a parlare in questi giorni e in queste settimane, “ferite ancora aperte” tornate alla ribalta con la nomina a Presidente del Senato – seconda carica più importante dello Stato – di uno dei protagonisti – dalla parte dell’estrema destra – di quella stagione. Stiamo parlando di Ignazio Maria Benito La Russa, in gioventù segretario del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile dell’MSI, a Milano in contatto fin dai primi anni Settanta con gli estremisti neri sanbabilini descritti in modo magistrale dal regista Carlo Lizzani nel film San Babila ore 20: un delitto inutile (1976). La Russa fu uno dei protagonisti della manifestazione del 12 aprile 1973 che segnò la rottura dell’immagine dell’MSI come Partito d’ordine, famigerato “giovedì nero”, in cui due estremisti di destra lanciarono una bomba a mano da esercitazione che uccise il poliziotto Antonio Marino.
L’elezione di La Russa è una delle dimostrazioni della validità delle tesi di Gotor, che ci prova come, sotto molti aspetti, siamo ancora immersi dentro la temperie politica degli anni Settanta. Da questo punto di vista, si potrebbe dire che i giovani, e in particolare i giovani di destra, non hanno alcuna possibilità di esprimere una proposta politica propria, se non affidandosi al lascito dei loro predecessori degli anni Settanta, a coloro che gestiscono le leve della politica, ieri nelle piazze e ancora oggi in Parlamento. Questi giovani non possono “essere di destra” se non affidandosi a questa vecchia generazione formatasi politicamente negli anni Settanta, una generazione molto ideologica e molto netta nelle sue scelte politiche. Ecco perché è importante leggere questo libro e riflettere su ciò che siamo diventati. Ecco perché questo libro ci aiuta a capire tanti aspetti della politica e perfino dell’antipolitica di oggi. Questo libro ci mostra perché siamo ancora governati dalla Generazione Settanta. Non siamo mai usciti dagli anni Settanta.