Patrick Modiano, Ricordi dormienti, tr. Di Emanuelle Caillat, Einaudi, pp. 88, euro 15,00 stampa, euro 8,99 epub
Ho sempre considerato la letteratura francese all’avanguardia, ma pur seguendola con particolare interesse devo confessare che ho conosciuto Patrick Modiano solo nel 2014, anno in cui vinse il Nobel per la letteratura « per l’arte della memoria con la quale ha evocato i destini umani più inesplicabili e scoperto il mondo della vita nel tempo dell’occupazione ». Le sue opere sono state poi tradotte e pubblicate da Einaudi in Italia: Ricordi dormienti è il suo terzo libro che leggo, uscito in Francia nel 2017, più che un romanzo direi una novella, in cui ritroviamo i temi cari all’autore. Autobiografismo e finzione, realtà e immaginazione si mescolano senza dare al lettore gli strumenti per comprendere dove finisca l’una e cominci l’altra. Del resto, diceva Flaubert in una lettera alla sua amante a proposito del suo lavoro: ho immaginato, mi sono ricordato, ho combinato e l’autore transalpino sembra aver fatto suo questo metodo.
Mentre passeggia per il lungosenna, Jean viene colpito dal titolo di un libro, Il tempo degli incontri, che lo risucchia in un vortice che lo porta indietro nel tempo, a incontri vissuti a cavallo degli anni Sessanta tra i quattordici e ventidue anni. Le bussole che lo guidano attraverso il magma di ricordi che tornano faticosamente a galla sono le donne incontrate all’epoca, che lo guidano tra le strade, le piazze e i caffè di una Parigi che è sempre stata una protagonista indiscussa della narrativa di Modiano, come se ricercasse nella geografia della città il bandolo per comprendere la sua geografia interiore. E se la prima donna di cui parla, all’epoca adolescente come lui e di cui non ricorda il nome, è poco più di un’idea platonica, un’iniziazione non riuscita, Mireille Uzucov è un’attrice amica della madre che lo ospita durante la sua fuga da un collegio dell’Alta Savoia. Poi è la volta di Geneviève Dalame, che conosce in uno dei tanti caffè di Parigi con cui ha una relazione e con cui frequenta la casa di Madeleine Péraud, appassionata di scienze occulte e una sorta di cultrice di discipline new age dell’epoca. In seguito c’è la signora Hubersen, in qualche modo legata alla Péraud e dell’ultima lo scrittore omette volontariamente il nome perché coinvolta nell’omicidio involontario di un losco individuo che la importunava.
Tra abbandoni e ritorni, appunti e liste di nomi e indirizzi che trova in vecchi libri senza ricordare chiaramente se sia lui o un altro ad averli scritti – l’alternanza tra realtà e immaginazione di cui parlavamo prima –, Jean cerca di riordinare i ricordi per unire una memoria spezzettata, con pezzi di puzzle esistenziali che lo portano a ripercorrere una parte della sua vita.
Nonostante il testo non abbia un ritmo sostenuto – l’indagine interiore ha bisogno di profondità maggiore –, Modiano ci introduce in uno spazio personale e intimo con una narrazione arricchita di dettagli e aneddoti che riempiono la scena mantenendo un tono apparentemente tenue ma con la capacità di esplodere improvvisamente con passaggi e frasi che costringono il lettore a riflettere sulle proprie scelte esistenziali, sulle tappe fondamentali della propria vita che sono molte di più di quelle che crediamo.
Migliaia e migliaia di sosia di te stesso si avventurano sulle migliaia di strade che non hai imboccato ai crocevia della tua vita, e tu che credevi ci fosse una strada soltanto.